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Lettera Sesta 35
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L E T T E R A   S E S T A

Ai Legislatori della nuova Arcadia P. Virgilio, Salute.


Non avessimo letto mai, né lodato il Petrarca: Non altra volta fu mai veduto tanto scatenamento di poeti importuni, di rimatori, di verseggiatori, come il giorno, che ritornammo a fare adunanza. Più di trecento poeti italiani, ciascuno con un libro di rime sue, con un suo canzoniere, alcuno con più volumi, e tutti col nome di Petrarcheschi, e più col titolo di Cinquecentisti, che per loro era dire altrettanto che del secolo d’oro, e d’Augusto, vennero ad assediarci, e pretesero d’esser letti, e approvati non men del Petrarca maestro loro, e modello. Ben era quello un popolo, e popolo di Poeti. Il fuggir così fatta inondazione non era possibile, che tutto intorno era cinto d’assedio, e di grida. Ognun ripeteva il suo nome, o scritto il mostrava. Chi può tutti ridirli? I principali erano Giusto de’ Conti, Aquilano, Tebaldeo, Poliziano, Boiardo, Medici, Benivieni, Trissino, Bembo, Casa, Ariosto, Costanzo, Montemagno, Molza, Guidiccioni, Alamanni, Corso, Giraldi, Martelli, Varchi, Firenzuola, Rinieri, Rota, Tarsia, due Tassi, due Venieri, tre Mocenighi, Coppetta, Marmitta, Caporali, Buonarroti, Caro, Tansillo, Sannazaro, Celio Magno, Giustiniano, Fiamma, e cento altri, che confondonsi nel mio cervello, come colà nel tumulto. Distinte furon, com’era giusto, parecchie donne pur Petrarchesche, e Poetesse col