Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
Lettera Terza | 17 |
- Prendendo più della dolente ripa
- Che ’l mal dell’universo tutto ’nsacca:
- Ahi giustizia di Dio tante chi stipa
- Nuove travaglie, e pene quant’i’ viddi,
- E perché nostra colpa sì ne scipa?
E di que’ malavventurati? Chi volta pesi a forza di poppa, e voltando a retro e gridando anche loro ontoso metro. Poi dimanda: Che gente è questa, e se tutti fur cherci questi chercuti alla sinistra nostra ed egli a me tutti quanti fur guerci. - Sì della mente in la vita primaia, che con misura nullo spendio ferci.
- Assai la voce lor chiaro l’abbaia,
- Quando vengono ai duo punti del cerchio,
- Ove colpa contraria li dispaia.
- Questi fur cherci che non han coperchio
- Piloso al capo, e Papi, e Cardinali,
- In cui usa avarizia il suo soperchio.
e così va seguendo a dar del capo in rime strabiliate, e che portano sempre mala ventura, sicché è proprio una cosa infernale. Che dirò poi delle varie lingue in che parla? Rafel maì amech zabi almi. Vexilla Regis prodeunt inferni;
- Di verno la Danoia in Austericch
- Com’era quivi, che se Tabernicch
- Vi fosse su caduto, o Pietrapana,
- Non avria pur dall’orlo fatto cricch.
E così fa versi in lingue particolari di lombardia, e d’altre genti, che non pensarono mai dover entrare in un poema se non burlesco. Né queste bizzarrie già condanno come il vizio peggior del Poema. Condanno l’esser questo presso a poco di un gusto, e parlar barbaro, e duro perpetuamente, benche le parole non sian sempre sì barbare. I Glossatori trovano almeno i più be’ misteri del mondo e le più vaghe novelle che fos-