Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 113 — |
Cercò intorno a sè un’arme; un moschetto pendeva dal muro, lo afferrò e mosse alcuni passi verso la porta del perfido straniero. Ben sapeva che il moschetto era carico e l’idea tenebrosa che ucciderlo come belva era suo diritto, invadendolo bentosto s’ingigantì qual mostruoso demonio signore dell’anima sua, fugando ogni antico pensiero mansueto. Ma che dico? non fugò i pensieri mansueti, ma li trasformò con artifizio in tanti stimoli che lo spingevano innanzi. L’acqua si mutava in sangue, l’amore in odio; la cortesia in cieco furore. Quella immagine dolente ed umile che piegata innanzi a lui gli parlava di pietà e di amore non lo lasciava, ma anzi lo traeva verso la porta, gli alzava l’arma al livello della spalla, stringeva il dito sul griletto e gli gridava: uccidilo, uccidilo nel letto.
Egli rovesciò l’archibugio per abbattere la porta, ma lo tenne levato in aria con una segreta velleità di avvertire colui che fuggisse saltando dalla finestra per amor di Dio!
Quand’ecco la fiamma quasi spenta si rianima illuminando l’interno del focolare, ed il grillo intuona l’usata canzone.
Egli non avrebbe udito altro suono: niuna