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allarmanti, e, tra lo sgomento di questi ed i principii politici liberali, quasi nessuno vi prenderebbe parte; ma, non permettendolo, confesserebbe la propria debolezza e il proprio timore.

Intanto, però, resta sempre al Governo il pensiero degli innumerevoli danni che ne risentono coloro che s’industriavano sull’affitto delle loggie e finestre, i quali si ristoravano delle gravose pigioni che corrispondono e gli altri molti speculatori defraudati1.

Da un parente di un Gesuita si seppe che il padre Ponza di S. Martino domandò a suo fratello, deputato al Parlamento italiano, venuto a Roma ultimamente, quali altri passi avrebbe fatta la rivoluzione2.

Esso gli rispose che per il momento nulla vi era a temere, se non una invasione di Garibaldini, emigrati.

Si cominciò ad insinuare che i cittadini si astengano dal fumare e dal giuoco del lotto per accrescere al Governo le angustie economiche e porlo nella condizione di non potersi più sostenere.

Al teatro Apollo, in una delle scorse sere, furono introitati 10 scudi.


  1. Il Comitato, prevedendo che i Romani, come i teatri, così avrebbero lasciati vuoti i festini e il Corso, propose di rimediare, con publiche largizioni, ai danni che sarebbero da ciò toccati al popolo.
  2. Il conte Gustavo Ponza di S. Martino, presentato, in quei giorni, a Pio IX dal fratello P. Alessandro, gesuita, gli parlò schietto delle miserevoli condizioni di Roma, dei pericoli che vi correvano il Pontefice e i Cardinali e gli consigliò di chiedere a Vittorio Emanuele rinvio di milizie italiane. Il Papa V ascoltò con pazienza e non si mostrò alieno dal seguirne il consiglio.