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1855






13 Giugno. — Ieri, alle 6 1|2 pomeridiane, il cardinale Antonelli scendeva le scale del Vaticano per fare la solita sua trottata. All’ultimo capo trovò un tal Antonio De Felici, cappellaio romano, avente bottega in via Cesarini, precettato politico, il quale, colla mano sinistra, gli presentò un memoriale, e colla destra prese un’arma e lo investì. Il cardinale potè alquanto retrocedere schivando il colpo e gridare, e così i servitori, che lo precedevano alquanto, volgendosi, fermarono l’assassino. Questi, allora, gettò il pugnale verso il petto del cardinale, dicendo: «Hai fatto spargere tanto sangue, che conviene sia sparso il tuo. Io morirò; ma vi sono altri venti che vendicheranno la mia morte»1.


  1. Il De Felici non adoprò, in questo suo tentativo, un pugnale, ma un forchettone. Dopo rapida procedura, fu condannato al patibolo, e morì impavido lasciando la moglie e un figlio chiamato Bruto. La moglie, il giorno della esecuzione della sentenza, fu trasportata, da casa sua, in quella d’un’amica, in via della Lungaretta, in Trastevere. Per sua sventura, una compagnia di soldati s’avviava allora al luogo del supplizio, alla Bocca della Verità. Inteso il rnllo dei tamburi, la povera donna rimase così atterrita che poco dopo impazzì, e pazza vive ancora all’ospedale di Roma.