zione era destinata a perdere tutto il suo prestigio nella Pasqua del 1849. Difatti, quale contrasto tra la Pasqua dell’anno primo della Repubblica Romana e la precedente! tra le benedizioni di Dio e quella di un tiranno mitrato ed atteggiato a sudicia ipocrisia, tra un corteo di rappresentanti eletti dal Popolo, di governanti che tremavano al cospetto del Popolo, il quale poteva sindacarli e rimuoverli, e un corteo di preti, di ogni colore, che insultavano, con un fasto più che orientale, alle miserie del Popolo, cui dissanguavano e mantenevano nell’oppressione! tra soldati, figli del Popolo, pronti sempre a combattere per la sua dignità, pe’ suoi diritti, per la sua gloria, e soldatesche straniere, prezzolate da tiranni stranieri e, per gli interessi di una infernale politica, convertiti in sbirri di sagrestia! tra un popolo giulivo e plaudente, pieno di gloria e di speranze, e migliaia di gemebondi senza patria e senza pane! Sì, senza patria, perchè chi osa proferire questo santo nome è gittato a marcire in una prigione dove patisce l’inedia e non ha un canile dove coricarsi, se dalla propria fortuna o dall’altrui pietà non trae tanto da satollare l’ingordigia della sbirraglia che lo custodisce. Ed oggimai la pietà ha esaurito le sue fonti perchè la miseria è comune, e il tiranno prete non vedrebbe, tornando, che volti squallidi per fame e corpi mutilati dai suoi carnefici! E non udrebbe che i gemiti delle vittime, perchè gli esigli, le proscrizioni, le carcerazioni, le destituzioni, le persecuzioni di ogni genere, l’impossibilità di ogni onesta industria hanno precipitato il Popolo in una miseria, quale forse non