Pagina:Diario del principe Agostino Chigi Albani I.djvu/68


— 60 —

la porta dì bronzo, meraviglia dell’arte, si era fusa aggiungendo maggior orrore alla notte funesta col mandar fuori dagli architravi fumanti fiamme gravide di minaccia e di spavento. Poche cose insomma erano restate in piedi del prezioso tempio e di queste nei giorni seguenti gran parte andò precipitando miseramente e lentamente. La notizia recò per ogni dove una grande sorpresa e dolore, e la salute del Papa, che in quei giorni teneva tutti in agitazione, passò in seconda linea; il discorso che ricorreva più doloroso ed insistente sulle labbra di tutti era sempre quello dell’irreparabile perdita. Una calca muta di popolo si recò a vedere ed a piangere e per vari giorni seguitò il muto e doloroso pellegrinaggio. La sciagura venne tenuta celata al vecchio Pontefice Pio VII. In vista della pericolante sua vita, e, quando un mese dopo mori e venne eletto in sua vece Leone XII, liberati dallo sgomento del primo momento, tutti rivolsero il loro pensiero a far risorgere dalle ancor fumanti rovine l’antica Basilica. Bisogna pur confessarlo, tutti, dal Papa al più umile cittadino, con nobile slancio, concorsero, col loro obolo, affinchè la Basilica risorgesse e presto sulle ceneri della vecchia e nell’antica sua forma, L’esausto erario pubblico non potè concorrere che per una piccola quota, ma i privati tutti, nobiltà e clero, ricchi e poveri, Romani e stranieri, tutti fecero a gara per concorrere col loro obolo, sia pur meschino, alla risurrezione del meraviglioso tempio al Dottore delle genti.

Cosi ben presto cominciarono a risorgere le belle colonne, ed il nuovo tempio cominciò a delinearsi sotto gli occhi ammirati dei Romani più bello di prima: l’arte si vendicava.

Davanti a tale disastro immane e lagrimoso, suscitò non poco riso il provvedimento escogitato dalla Curia poco dopo. Si era purtroppo costatato che nessuna cura veniva impiegata nella custodia dei monumenti e delle Chiese, e si aspettava di giorno in giorno qualche rimedio che valesse a ridare la fiducia perduta, ma questo rimedio non venne, ed invece nel dicembre 1824 la Curia ebbe la bell’idea di emanare un editto minacciante forti multe contro quei che facessero irriverenze intorno alle Chiese. Il giorno otto dello stesso mese vennero inflitte con grande schiamazzo un numero infinito di multe dì Lire 5, e tanto fu il tumulto che si dovette ricorrere a porre sulle