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La duchessa del Chiablese in Roma.


A ridestare in Roma alla luce tante preziose opere d’arti, sparite e sotterrate, ebbe non poca parte, nel primo trentennio nel secolo XIX, una principessa Sabauda. Anche il Re Carlo Felice fece compiere a proprie spese con molta fortuna gli scavi, incominciati prima da Luciano Buonaparte alla Ruffinella in Tuscolo, sotto la direzione del Marchese Luigi Biondi, ma una speciale riconoscenza deve Roma serbare a Marianna Carolina, figlia del Re Vittorio Amedeo III, moglie di Benedetto Maurizio, duca del Chiablese.

Ella aveva accompagnato il marito, costretto a fuggire le sue terre per l’occupazione francese, in tutto il suo esilio, dapprima in Sardegna, poscia seguendo le orme dello sfortunato Carlo Emanuele IV, in Roma. Nel 4 di Gennaio 1808 il Duca moriva in questa città e veniva sepolto nella chiesa di S. Nicolò de’ Cesarini1, e qua l’orbata consorte decise di restare, divenendo sin da quel giorno Romana per elezione. Riavutasi dal dolore della grave perdita, ella si rivolse all’arte in cerca di consolazione: la sua abitazione nel Palazzo Paganica, sull’omonima piazza, venne adornata con ogni arte e ridotta ad

    d’attorno alla tazza stessa nella controtazza di marmo bianco di Carrara, forma un colpo d’occhio meraviglioso da non cedere a qualunque altro di Roma nel suo genere. Invece di questo grazioso cratère vi era negli anni scorsi una piccola tazza di marmo alta assai da terra, con un getto di cinque once d’acqua. La sa · me · di Pio VI, quando vi fece collocare l’obelisco, estratto dal Mausoleo d’Augusto, compagno di quello di S. M. Maggiore, voltati i colossi, aveva appunto destinato nel mezzo, avanti a questi tre ometti una gran tazza in terra con vari getti d’acqua, annunziato nell’iscrizione alla base dell’obelisco. Ma restato sospeso questo disegno ora è piaciuto a S. Santità di farlo compire, in modo assai più grandioso. A tal destino fece collocare la tazza suddetta di raro granito Egizio, originalmente in un sol blocco di quasi palmi 28 di diametro, la quale giaceva per vile abbeveratoio nel Foro Romano, ora Campo Vaccino. profittandosi del vicino condotto che da Termini deve portare 129 oncie d’acqua sul Campidoglio si è potuto far pompa di un volume d’acqua di 80 oncie, che ritorna nel primo condotto. Il concorso di popolo di giorno e di notte fu continuo con ammirazione ed applauso generale».

  1. Vedi Forcella. Iscrizioni delle Chiese e d’altri edifici di Roma. Vol. IV p. 397 N. 735-36.