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scortato da un distaccamento di dragoni, Pio VII rinviava a Loreto il venerabile simulacro1.
Carlo Emanuele IV in Roma.
Nei primi anni del secolo XIX Roma divenne la sede dei principi spodestati: la rivoluzione aveva messo sossopra i troni non solo di Francia, ma di tutt’Europa ed i principi impauriti avevano lasciato i loro antichi domini o n’erano stati scacciati dalla dilagante marea rivoluzionaria, e s’erano andati a rifugiare in terre sicure.
L’infelice re di Sardegna, Carlo Emanuele IV dovè anch’egli, esulare, spinto dalle mali arti dei generali francesi e dalla nequizia dei suoi sudditi, e dopo un lungo errare aveva scelto Roma a sede del suo esilio. Quivi lo seguì tutta la sua corte e tutti i rappresentanti dei vari Governi esteri, quivi egli passò la restante sua lunga e travagliata vita, quivi, dove un giorno i suoi gloriosi Nepoti dovevano assidersi sull’ambito trono d’Italia. In Roma non trovò però la pace desiderata: sarebbe troppo lungo narrare la serie d’umiliazioni ch’egli dovè subire per parte dell’invadente Governo francese, coll’acquiescenza supina del Governo papale, sarebbe troppo lungo e troppo esorbiterebbe dal mio compito.
Perduta in Napoli nel marzo del 1802 la sua fedel consorte, Maria Anna Clotilde di Francia, Carlo Emanuele si ridusse in Roma, in casa Colonna, accasciato e disfatto; niente più lo legava al trono, egli meditava di abdicare e nella sera del 4 giugno, dopo una lunga meditazione, compì l’atto solenne, alla presenza di pochissimi fidati, in favore del fratello Vittorio
- ↑ Confronta a proposito il Diario di Roma N. 202 del 1802 ed il N. 106 ove si contiene una lunga relazione delle grandiose feste di Roma e Recanati per quest’occasione. A Recanati vennero innalzati grandi archi, i vescovi di Macerata e di Nocera, vestiti pontificalmente, accompagnati da tutto il clero, dai Magistrati e dal popolo, andarono a ricevere la sacra immagine fuori delle mura della città.