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rompi e l’ombra delle chiese.
Ed il pavido borghese
che nell’ossa porta il gelo
dell’inverno trapassato
e col corpo imbarazzato
geme il reuma ed il torpore
che nel volto porta il velo
della noia ed il pallore
della diuturna morte,
si rinchiude frettoloso
si rinvoltola accidioso
e rincardina le porte.

Se lo scuoti e lo palesi,
marzo, giovine pazzia,
la sua trista nostalgia
sogna il sonno di sei mesi.

Ei ti teme, dolce frate
marzo, terrore giococso,
ma tu passi vittorioso,
sbatti gli usci e le impannate
con le tue folli ventate,

e la densa polve sveli
nel tuo raggio popolato,
e sul legno affumicato
i vetusti ragnateli.

Poichè il termine al riposo
canti, marzo adolescente,
t’odia questa buona gente,
marzo luminoso.

Ma se t’odiano addormiti
nelle coltri riscaldate,
ed i passeri impauriti
nelle siepi denudate,