Pagina:Dialogo della salute.djvu/64


― 57 ―
scurità,il pensiero d’ubbriacarsi o di mangiare o di correre, o d’andare al caffè dove c’è vita allegra, o di scappar lontano, o di finirla. E il pensiero qui si ferma, e accarezza l’idea del suicidio, e comincia a pensare all’impressione che avranno gli altri. Dal terrore indefinito, in ogni modo la paura della morte cerca una cosa precisa sulla quale appoggiarsi per farsene uno schermo al niente che ti stringe; cerca qualunque cosa purchè sia, anche un piano di suicidio. Intanto così ci si racconsola, ci si distrae; e poi si ricomincia, sempre avanti. Ma no, bisogna venir a una conclusione. O sì o no. Allora καλόν ἐστι διαπορεῖν, è bello il soffrire e il lottare, allora hai in mano la vita; allora è bella la forza, e l’uomo deve tener raccolta la sua vita. Se allora egli si distrae è nuovamente perduto, chè s’è rimesso nel giro delle cose consuete a cercar di fuori la vita che gli mancava, o s’è cullato nel sogno. Allora convien guardar in faccia la morte e sopportar con gli occhi aperti l’oscurità e scendere nell’abisso della propria insufficienza — venir a ferri corti con la propria vita. O vivere o non vivere. Ma poichè in me qualcosa chiede ancora la vita, se ho da continuare, ma bisogna che io viva, che non abbia niente da aspettarmi dagli altri, ch’io sia libero veramente, ch’io affermi siffattamente la mia vita, che da nessuno possa esser turbata, ma che anzi agli altri sia vita; bisogna che io sia giusto verso ogni cosa, che a nessuno sia ingiusto; non un debito d’uno