Non pietà ma sdegno devi sentire per te stesso, se pur vedi la vanità della vita: in te, nel tuo cuore che batte e ribatte, che esulta e si lamenta, che spera e dispera, nella tua bocca che parla e si riempie di niente, nel tuo stomaco che chiede il pane, nel tuo corpo che pesa inerte, nelle tue membra, nella tua carne, nel tuo sangue — la devi sentire. Non pietà ma nausea devi sentire di te stesso the sei e non sei, sicchè dolce ti sia il ferro che ti ferisce e un rovaio il giaciglio dove pesa la tua inerzia, sicchè amaro ti sia il pane e intollerabili le parole. Allora non più invano spererai e non più sarai disperato, non più invano esulterai e non più avrai da lamentarti; ma il futuro non sarà più per te e nell’ultimo presente il tuo cuore consisterà.
Allora la tua vana invocazione della morte sarà atto di vita, poichè in un punto la tua volontà diffusa si sarà raccolta e avrà fatto di sè stessa fiamma.
L’uomo non chiede la morte ma muore; e in ciò egli vive, poichè non chiede di essere ma è.
N.
— Ma.... ma come posso io giungere a questo?
R.
— La tua ultima parola è stata «morte» e la tua bocca s’è riaperta per dir «ma». Con quella dicevi di non aver più nulla da chiedere, ed ora riparli per chiedere un appoggio, per chiedere una via. Ma non c’è appoggio, ma non c’è via, non c’è niente da aspettare, niente