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Ah, la paura della morte è vile cosa, amico! e tutti la temono che invano a lei vogliono sfuggire: il vecchio custode nella fredda valle li attende, che così irrise al nostro stato. Tutte le cose vince la morte, e nessuna io posso ormai con coscienza cercare e volere se non la morte!
R.
— Sempre la stessa mente nella gioia, nel dolore, nel piacere, nella morte — tutto invano! Ma questa stessa tua invocazione della morte è la paura della morte! In questa invocazione parla la stessa debolezza che chiede per pietà un velo a schermo del dolore, che chiede al pane, al vino, ai compagni, all’amore, all’arte, alla gloria, a Dio, una proroga della morte. È il sonno e l’oblio che chiedi, non la morte. Se la vita è un peso, quello ha il coraggio della morte che porta la vita così finchè essa lo schiacci, sicchè la sua morte sia un atto vitale. Quello che in qualunque modo la depone, quello non ha il coraggio della morte, ma la paura. Egli la depone perchè cerca nel riposo conforto e dal conforto spera la continuazione. E come nel qualunque riposo che l’uomo s’accatti per pur continuare, seguendo la voce della sua deficienza, è infatti la morte, la nebbia delle cose che sono e non sono — così nella languida e vana invocazione della morte in cui parla lo stesso bisogno di riposo, è in fatti la volontà di continuare, la pietà commossa di sè stessi.