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vita, gli fa pensare alla morte come a una vita illimitata perchè senza bisogni. Questo «senza bisogni» gli prende a sua insaputa il contenuto di «soddisfazione di questi determinati bisogni che ora momentaneamente mi fanno soffrire». Ed è perciò che con tutta la forza della persuasione vitale che gli rappresenta desiderabile la soddisfazione dei suoi bisogni, egli dice d’esser persuaso che la morte è da preferirsi alla vita. Ai bisogni corrispondono le promesse della realtà come valori. (Chi non ha più bisogni — non ha più valori — non ha più realtà — non ha coscienza — non parla nè di vita nè di morte — ma muore senza accorgersi). Fino a che uno vive, vuole la felicità, postula un valore per il quale gli valga vivere. Egli chiede la subordinazione dei valori della vita a un valore più grande: i. e. la convalidazione dei suoi valori. La morte, come è la negazione dei bisogni, è la negazione del valore1). L’individualità assorbita in piccoli bisogni, ma per spostamento accidentale non così che la temporanea soddisfazione d’uno di questi sia dolce per la coscienza della prossima temporanea soddisfazione degli altri (come nella bestia), ma impedita da qualsiasi ragione in questa organica soddisfazione dei suoi bisogni — è portata
  1. Vedi fig. p. 49.