piccolo, il prossimo lo rispetta come nervoso, ed egli si compiace pur negli spasimi della sua rabbia pensando: Eppure faccio impressione, lo sapranno ora che sono nervoso.
E al caso dice: Lo sai che io che son nervoso, queste cose non le tollero — come se parlasse d’una rispettabile qualità.
Ma in compenso son pazzi gli uomini di genio.
Ma oltre a questa divinità dell’ira, la meschinità gaudente ha creato il dio del male, il diavolo, la iettatura, per quando le cose non vanno. Più l’uomo è assorbito nell’attimo, e più crede all’avverarsi di una determinazione di cui abbisogna, e le attribuisce realtà, e la contendit, anche quando tutto gli dice che non può avverarsi. La contende con tutte le sue forze, senza alcuna dignità, attaccandosi a ogni briciolo di speranza, παντοῖος γενόμενος — finchè, quando la cosa non avviene, lo colpisce sempre come una disgrazia nuova inaspettata della quale non sa darsi pace. Egli credeva alla cosa anche quando essa non aveva più nessuna base oltre al proprio desiderio; e continua a credere al suo valore anche ora, dopo che ultima speranza è caduta, nutrendosi con dei «parimpossibile», «la cosa era certa», ecc.; e «se non fosse stata quella disdetta proprio eccezionale»... Perciò non toglie valore alla cosa nel fatto stesso che s’è dimostrata tanto dipendente da contingenze, ma la stima pur sempre, e la vernusset o (lei non il valore). E s’arrabbia contro tutte le cause indirette accidentali che sono nell’ordine delle cose,