quando uno abbia lo «sguardo rivolto all’arte», che dice quali sono le cose che valgono per artistiche. Poi ci sono gli occhi e gli orecchi e il gusto e i sensi; e si può tentar di registrare le susseguenti sensazioni che essi hanno. Poi ti scopri, e cominci a parlare della vita artistica — la tua vita; e allora registri ogni piccolo fatto di questa tua volontà e di questa tua noia. Se sei un pittore copii tutte le macchie del tuo atelier, e sei un artista.
Ma a te artista di tutto questo non importa niente. Le cose ti sono odiose, perchè nessuna ti dà niente; ti senti vuoto digiuno, e dentro ti suona e ti sbatte la disperata necessità d’aver fatto, d’esser pervenuto. Te lo imagini il giorno grigio e nebbioso nelle officine spente di questi artieri affamati, quando, curvi negli angoli oscuri, essi cercano tra i ferri vecchi quale sia abbastanza artistico, e fanno tesoro d’ognuno? E se esce loro dal diaframma un noioso sbadiglio per la vuotezza dello stomaco, si sollevano, sorridono, e dicono: questo m’è sorto dal mezzo del cuore. Lo riguardano alla luce, gettano uno sguardo all’arte, prendono le frasi convenute della stanchezza dell’esistenza — ed ecco una composizione che i giornali compiacenti diranno «pervasa da un’amara intuizione della vita». E dire che quell’amaro era acido di stomaco!
Ma essi son grati al loro organismo per questo acido, come pei languori della sensualità, e pel male ai reni della stanchezza; e se lo curano e se lo accarezzano questo mirabile orga-