secreto del suo cuore, ognuno sia per cedere tutta la sua carica onerosa per un po’ di buon umore volgare e mortale.
N.
— Che intendi?
R.
— Come, hai già dimenticato ch’essi devono creare? che dall’alba del loro giorno mortale fino al tramonto, o dal tramonto all’alba, essi devono fungere da creatori?
Essi devono dunque attendere al varco le emozioni, come un cacciatore aspetta i mazzorini, coi piedi nel fango fino alle ginocchia. E la caccia è povera, perchè, come prima abbiam detto, essi non soffron più le emozioni di questa terra, essi gli dei. E non pertanto bisogna bene che vengano. E bisogna allora ingegnarsi o, come essi dicono, «foggiarsi una vita». Poichè un’emozione è viva in loro: la volontà di fare cose d’arte e la noia di non saper come, la volontà d’essere artisti e la noia di non esserlo. Questa è l’«emozione personale», e con questa bisogna creare. L’artista si mette dunque di fronte alle cose che gli sono indifferenti, che non sono per lui, sempre come quello che le ricrea, come l’«artista» — questo è convenuto. E la sua emozione dominante prende via via diversa apparenza dalle diverse situazioni. Ma essa è sempre la stessa: di vivo non c’è che lei. Allora l’artista la stuzzica, rivolge lo sguardo all’arte; e la volontà d’essere artista diventa amore ed eroismo, il dolore di non saper che incominciare, dolore sublime sulle cose del mondo, diventa doglianza.
Ma dirai tu: come fa a far questo? È facile,