loro simili come specchi compiacenti, che raddoppino la vita. Ma il nulla non si raddoppia.
E gli uomini s’affannano a parlare, e con la parola s’illudono d’affermare l’individualità che loro sfugge. Ma gli altri vogliono parlare e non ascoltare; così l’un l’altro macella e contraddice. Non importa loro che la cosa sia detta, ma ad ognuno importa d’esser lui ad averla detta. E ben perciò che le particelle introduttive del discorso hanno preso le armi e son divenute avversative. Quanto un uomo è vano, tanto ha bisogno di parlare; quanto gli manca in realtà il giusto sapore dei suoi atti e quella coerenza dell’intima εὐλάβεια, tanto è necessitato a parlare per affermarla pel fatto stesso che enumera le cose. Raccontando gli atti più meschini della sua vita, egli presume d’essersi costituito una persona. Un buon giocatore di scacchi tace, che in ogni mossa gode il proprio piano; parla invece chi vuol illudersi d’averlo. Ma il solo parlar nulla rivela. Meno ancora se non trova orecchio compiacente che gli conceda la momentanea illusione.
Per la cura di questa nascono le κοινωνίαι «intellettuali» con la tacita intesa della vicendevole compiacenza. Ognuno dà perchè gli sia dato. E ognuno, se racconta la sua vita sciagurata e i fatti dolorosi di cui porta la colpa e le conseguenze, trova nella compiacenza dei compagni integra almeno l’illusione della sua individualità.
La funzione parallela al mutuo incensamento è la maldicenza, dove chi biasima un male, o l’ap-