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pur deve fingerlo, per esser «quello che ha quell’amore». Egli vive in un desiderio irriducibile e vano.
N.
— Ma se la gente tutta lo consideri per quello che egli vuole, tu vedrai ch’egli se ne dirà soddisfatto. Vedrai, e vedi già da quale parte che guardi. Non pochi gli ambiziosi come tu pur concedi, e non certo i meno premiati.
R.
— Ma quale è il premio?
N.
— D’essere in fatti quello che essi ambivano.
R.
— Come in fatti?
N.
— Nel nome, nel rispetto nell’amore anche.
R.
— Sicchè tutti che hanno un nome, sono anche tali che a loro vada giustamente quel rispetto e quell’amore?
N.
— Non dico questo. Ma questo che importa a chi porta il nome, purchè gli venga?
R.
— Viene dunque a lui come a quelli che dopo di lui porteranno il nome stesso o che contemporaneamente lo portano.
N.
— Perciò egli è lieto del nome che gli assicura per sempre questa devozione.
R.
— Che appartiene al nome e non a lui.
N.
— Sia pure.
R.
— Come è egli allora in fatti ciò che voleva essere, se lo è solo di nome?
N.
— Perchè il nome è il suo nome, e la devozione va di fatto a lui.
R.
— Se tu rappresenti Romeo, sei lieto dell’amore di Giulietta?