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diventa in breve stupido, e lo zucchero la intorpidisce, le cose piccanti la bruciano, i vini e le sorbe la allegano. Crea delle geniali fantasie delle più ardite unioni, ma non trova mai quella che la soddisfi. Le dà gioia solo la prospettiva d’averla; quando la consuma lavora invano di lingua e di denti a sciogliere e impossessarsi del sapore — tutto inutile, il sapore se ne scende giù nello stomaco nemico con la cosa saporosa e bisogna prenderne dell’altra.... Così l’occhio medita tutte le varietà di colori vivaci, di luce d’ombre, ma nessuna è quella che lo sazi: chè il saziarsi dell’occhio sarebbe non più vedere. E così ogni altra parte secondo il suo potere mette in moto tutte le più abili macchine di godimento — invano. Ognuna rinnova a sua volta ciò che il corpo ha fatto per sè e il piacere sfugge sempre: la sua legge non muta. Ma la fame insaziata perdura pur sempre; e la sua legge è il godimento. E ancora le singole parti si disgregano nei loro elementi chimici più piccoli più piccoli: chè ognuno vuol vivere per sè. L’individualità si dissolve infinitamente; e infinitamente fugge il piacere. Se la coscienza del corpo rifletteva un dato tempo e una determinata varietà di cose, ora siamo giunti come tu dici all’attimo e al punto nello spazio. Non è più innanzi a noi una determinata forma, ma un fluire d’atomi.
N.
— Ma tu parli per metafora. In realtà noi vedremmo sempre un corpo.