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vasta i campi de’ proprietarii, saccheggia e incendia le loro case e palazzi, e il governo o finge di non vederlo, o si trova impotente a recarci rimedio. Ma ancora senza di ciò ognuno sa che l’acqua da qualunque luogo si cavi, si cava sempre a conto della fontana, e così girate, rigirate quanto volete, tutto l’immenso dispendio della rivoluzione va a finire a carico della proprietà. Per questo sono ridotta in camicia, e la classe dei proprietarii è più infelice di tutto.
- Pulcinella
- Venga il canchero alla rivoluzione, e a tutti quelli che le soffiano dietro. Quando è così, in un paese rivoluzionato non ci è più la maniera di vivere.
- Il Dottore
- Lasciate dire, Signor Pulcinella, le cose non possono essere in questo modo, e costoro senza meno sono Carlisti, e procurano di seminare il malcontento nel popolo.
- La Proprietà
- Così va detto. La rivoluzione discaccia i re dai loro troni, semina l’empietà, la licenza e il furore, e quando raccoglie il disordine, la strage e la miseria, butta la colpa sopra i partigiani dei re. Questo linguaggio sfacciato che tengono i liberali contro la evidenza dei fatti e contro la loro coscienza, mostra quanto sia sacra la causa dei tre colori.
- Il Dottore
- Via, via, in questi discorsi ci si vede la parzialità, e noi prima di risolverci vogliamo considerare le cose senza passione. Facciamo così, signor Pulcinella, andiamo a consultare un filosofo, il quale ci dirà la verità, e ci consiglierà imparzialmente.
- Pulcinella
- Andiamo pure a trovare la Fisolofia, ma ho paura che non faremo niente, e il meglio nostro sarà tornare a Napoli con la coda fra le gambe.
SCENA SESTA.
Pulcinella, il Dottore e la Stampa.
- La Stampa
- Giovinotti, mi ha detto l’Arte che cercate di impiegarvi per guadagnare il pane. Se volete, vi prenderò per garzoni, e con me si fatica molto, ma si guadagna assai.
- Il Dottore
- Verremo volontieri a servirvi. Chi siete voi, signora?