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di toglierne uno, si pongono nell’inevitabil caso di farne due: o se andasse per Livorno e Genova avrebbe il doppio medesimo inconveniente, quando però fosse luminosamente dimostrato il modo di condurre una linea da Livorno a Genova, eseguibile ed adottabile sotto tutti i rapporti, acciò non fossimo nel caso di applicare a questo progetto il titolo di ingegnosa utopia. Non faremo parola degli altri, sembrandoci che nel discorso che presentiamo tutti i municipi vi trovino il loro interesse parziale, collegato col generale della Toscana e d’Italia. Nè per adesso parliamo del progetto di Via per la spedizione della Valigia dell’Indie, annunziato dalla Bilancia, e riportalo nel n.° 64 della Gazzetta di Firenze, riserbandoci a tenerne proposito, come in luogo più conveniente, in un prossimo discorso, nel quale, usando la medesima libertà e franchezza, diremo, se ci sarà permesso, delle strade ferrate negli stati Pontifici.
E nel civile e santo intendimento di avere una linea veramente nazionale italiana, dalla quale come da una spina dorsale si dipartissero o si immettessero tutte le linee che traverseranno un giorno le province d’Italia, vorremmo che concorressero tutti coloro che possono con l’opera o con l’ingegno far argine ad un mal inteso amore di patria, o ad un non ancora spento odio o spirito di municipio, perchè da un fatto così luminoso riprendesse vita la nostra nazionalità. Sì, noi possiamo ancora molto; ed i governi nell’accordare la libertà del pensiero, non vorranno impedire la libertà delle opere, quando queste dal comune concorde voto saranno ad essi dimostrate utili e necessarie. Forse la lentezza attuale nell’incominciamento e nella continuazione delle strade ferrate italiane non è un male, come taluno si pensa; poiché così avremo campo di decidersi a dare opera alle più utili e necessarie, nè ci troveremo nel caso di incominciarne improvidamente molte, senz’avere i mezzi per condurle al loro termine, come accade adesso in Francia, in altri stati, e da noi. Facciamo tesoro della esperienza altrui, e della nostra; e non precipitiamo riso-