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si potrebbe obiettare che quando un più comodo andamento per la linea nazionale si trovasse nella Valle della Sieve (del che dubitiamo assai), se Firenze non fosse traversata da questa, la sarebbe da quella che l’unisse alla Leopolda; e così sarebbe traversata dal movimento commerciale, se non italiano, da quello parziale di Bologna con Livorno: noi rispondiamo, che quando queste due città fossero congiunte da una così lunghissima strada, Bologna dovrebbe abbandonare Livorno, trovandosi per altri lati avvicinata ad altri marittimi mercati. No, non bisogna illudersi sull’andamento di queste linee: se ora può dirsi che prosperità commerciale sia equamente stabilita in Toscana e in Italia, bisogna procurare di mantenerla, e di fissarla stabilmente con questo mezzo; e il governo lo deve, perchè su di esso ricade in ultima analisi la prosperità o la miseria dei popoli amministrati.

Sul proposito del migliore ordinamento delle strade ferrate toscane ci resterebbe ora a discutere i tanti progetti di utilità generale o parziale resi pubblici o per mezzo dei giornali o di opuscoli separati. Ai progettisti e sostenitori di una doppia linea nazionale percorrente lungo le marittime coste, crediamo di avere abbastanza risposto nell’articolo inserito nel n.° 44 delle Strade ferrate di Bologna, pubblicato anche nel Contemporaneo di Roma1; del qual sistema, poco generoso e nazionale, si è fatto corifeo il sig. generale conte Serristori. Ai sostenitori di una linea nazionale per Siena crediamo di aver detto assai in questo nostro discorso; ed aggiungeremo che se ad essi spaventa l’angolo che la linea per la Valle d’Arno dovrebbe fare ad Arezzo, a noi spaventano ancor più quelli che la loro dovrebbe fare ad Empoli e Firenze; e così nell’intendimento

  1. Nel tempo della stampa del nostro discorso, quell’articolo è stato inserito anche nel n.° 18 della Rivista di Firenze.