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cie d’augelli dalle lunghe code, che ci parvero fagiani, gli uni azzurri, e gli altri dorati, e sulle sponde dell’isola riconobbimo una moltitudine di pesci dalla conchiglia univalva. Fra loro stavano varie conchiglie appiattite e di grande dimensione, che i miei compagni giudicarono, che fossero cornu amonae. Confesso, che dovetti in quel punto convenire che non erano ciottoli quelli da noi visti sulle spiagge del Mare nubium.
Le rocce scoscese della spiaggia erano profondamente minate dalle onde, ed intralciate da caverne; stalattiti di cristallo giallo più grossi della coscia d’un uomo pendevano da ogni lato. Non esisteva palmo di terreno in quell’isola, il quale non fosse cristallizzato; masse di cristalli erano quà e là sparse lungo il lido, che esploravamo; altre brillavano per entro le anfruttuosità del terreno. L’aspetto di tutti quei cristalli era così straordinario, che faceva di quei luoghi una finzione di racconti orientali, anzichè la realtà d’una natura lontana trasportata col mezzo della scienza ad una dimostrazione oculare. La dissomiglianza evidente tra quest’isola, e quelle già vedute prima nelle acque, e l’estrema sua vicinanza alle terre principali ci fecero supporre, che un tempo ne fosse stata parte. A confermare una siffatta opinione giovava l’osservare, che la sua baja principale abbracciava il corpo avanzato d’una catena di più piccole isole, che confinavano colla terraferma. Quella roccia era di quartz puro, e contava tre miglia di circonferenza. Sorgeva come un giro nudo, e maestoso di profondità azzurre, e non offeriva nè sponde, nè asili. Brillava avanti il sole, come puro zaffiro, e più piccole isole brillavano parimenti a lei intorno.
La pianura, che si prolunga sino alle sponde del lago, presenta un pendio dolce, senz’alcuna prominenza, se non che vi si scorge una certa enfiatura di terreno coperto da boschi sparpigliati qua e là con capricciosa selvatichezza. La spaventevole altezza di quelle montagne perpendicolari di color cremisi sfavillante contrastava colla frangia di foreste, che coronava la loro fronte, e colla verzura, di cui la pianura formava un tappeto a’ loro piedi. Esse dipinsero sul nostro canovac-