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notte 51

Fu tra FeTia più vii confusa e mista»
Quanto fallaci mai, quanto incostanti * Son
della vita ì beni! un sol momento
Dan di piacer appena, e a lenti sorsi *
Il duol, che lascian poi, l’anima leve.
Più vivo in noi d’un ben perduto è il senso
Che il possesso "non fu. Di padre il ’nome
Giammai lieto mi fè, quant’or mi strazia.
Figlia, -qual ti vid’io? Quale arboscello
Ti vidi già, elle il- tempestoso Cielo
Svelse, fiaccò, quando di fior vestia
Le verdi chiome, e le ramose braccia.
Vidi d’oscuro vel que’ cari lumi
Gravi, coperti, e di color di motte
Tutto pieno quel volto, uppur oh quanto
Bella semLrommi in braccio a morte ancora
Si, la vidi morir. E qua! singhiozzi,
Quai tronche voci, e qual tumulto orrendo
Tenerezza, pietà, smania destaio
Nell’alma mia! Che dagli usati tifficj
Tratta nel vasto mar di tanti affetti
Trovar, no, non sapea la via del pianto.
V 1 ha tra* mortali un sì severo ciglio, Che
fermo resti, e il mio dolor condanni?
Sprtzzi ciascuno un cuor crudo, «feroce,
Che del pianto ha rossor. Nò, non è vile
L’uom, che lacrime versa, e non s’offende
Ragion, se piange un infelice: il solo
Eccesso ella non vuol. 0 voi, che l’empia:
Morte privò d’un’adorabil figlia,
Del mio dolor pietà vi prenda almeno.
Quando di quei begli occhi il vivo lume
Vidi languir, * sugli oggetti il moto.
Vago, incerto fissar, quando la viva
Rosa più non tingea la fresca guancia:
Pensi con quale ardor chi ha cuor di padre
Dal Ciel natio la tolsi, ove dì morte
Spira gelida fiato il freddo Arturo.
Sa queste braccia la portai vicina