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50 quarta

La sorte, e la -virtù. La vita sola
A Nareisa mancò. Splendor sì grande
Ferini morte il ciglio, e al carro avvinse
Così nobil trofeo. Come già cade
Il tenero mignuol, quando di morte
Sull’ali vola il lervido metallo,
E il fere appunto allor che più soavi
Spiega gli accenti, e più variato il suono,
Nè il bosco più di grate voci echeggia,
IWa silenzio vi regna orrido, e cupo,
Così cadde Nareisa allor dal trono
Della felicitade. Oh mia diletta
Figlia, in qual tetro e solitario orrore
Lasciasti un padre! Oh Dio! Dunque per sempr
Tace la voce tua, che del mio core
Tutte sapea le vie? Ma pure ascoltoIl
dolce mormorio de’ detti estremi.
Oh dell’anima mia delizia, e cura,
Quel tenero tumulto io... sì... lo sento,
L’anima sei rammenta. Un’ombra io provo
Di languido, piacer; mapoi trionfa
Il barbaro dolor. Figlia. mia figlia,
Se a me ti tolse il Ciel, l’idea funesta
Perchè di te mi lascia il Cielo, il fàtò?
Ridente età, soave accento, e brio,
Pura virtù, beltà, cuor, che capace
Era solo d’amor.... E putte il Cielo
Di più fregi vestir spoglia mortale?
Tutto godè Nareisa: il mio tesoro
Era Nareisa sola, ed era io stesso...
Era de* padri tutti il più felice.
Nome brillante, e vano! A me nascose
La miseria, Torror, l’informe abisso,
Ch’or mi circonda; e l’empia morte offesa
Di mia felicità, fè cenno al crudo
Al venefico verme, e sullo stelo
Volle cadente la purpurea rosa.
Apriva appena il seno a’ dolci fiati ’
Di icffiro gentil, che svelta a fòrza