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NOTTE. 29

Lungi da questo seno, e dalle dolci
Tenere cure tue. Ti vidi preda
A’ più crudi tormenti, e parte illesa
375Non restava di te. L’orrido letto
Io mi rammento, e quelle fiamme ingorde,
Che dal dolor nudrite, il verde tronco
Arser del viver tuo. La Morte io veggio
Qual Tigre Ircana, che a più fiera strage
380Spinge il sangue che trasse, e la natura
Tremante io veggio, e di color di morte.
Un’alma palpitante al primo ingresso
D’un incognito abisso. Un Sol, che fugge.
Una tomba, che s’apre. Un suono incerto
385Di tronche voci.... Ahimè! l’ultime.... Oh Dio
Si rovescia il pensier, ricusa il labbro...
D’un amico fedel le voci estreme.
Ma che diss’io! Dov’è l’alto spavento,
Dove i mali, i tormenti? Ov’è costui,
390Che palpita, che trema a morte in faccia?
Un mortale io mi finsi, e già Filandro
A più nobili sfere erge le piume.
     Tra le ambasce di morte, e il van contrasto
Di natura cadente, oh quali in volto
395A Filandro scolpì raggi vivaci
La gioja ancor tra quel pallor mortale?
Qual insolita calma, e qual sicura
Fronte mostrò! Ma questi è l’uomo? È questi
Quell’essere sì fral? Questi è di morte
400Il misero vassallo? Ah no, Filandro
Veste altre spoglie, ed altri sensi ha in petto.
L’Arbitro Eterno in quegl’istanti il regge;
Di sua gloria l’ammanta. Egli già muore,
Eppur d’alta virtù dogmi severi
405Dettando va. Sul proprio fato acerbo
Morendo ei ci consola, e lascia a noi
L’esempio illustre della sua vittoria.
Oh di qual fiamma allor ci ardeva il cuore!
Taciti, fisi al caro amico intorno
410Ci tenea lo stupor. Immoti i lumi