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NOTTE. 17

Che? scordarmi potrei del mio Filandro?
No, non fia mai... Ohimè! Quanto il mio core
S’ange, si gonfia... Oh Dio, quanto è mai pieno!
605No, quando il freno al mio dolor sciogliessi
Pel giro intero, che la Dea triforme
Scorre degli astri in sen, gravido il ciglio
Sempre saria di pianto, e la leggera
Lodoletta verria col canto suo
610A disturbar miei dolorosi lai...
Io già la sento. È il penetrante suo
Canto, che fa sentirsi in cielo. Oh come
È vigilante a risvegliar l’aurora!
     Tenera Filomela, anch’io la notte,
615Come tu fai, ricerco. Anch’io nel core
Porto un dardo che il crucia, e i mali miei
Tento sopir col mio lugubre canto.
Si dirigono insiem da noi gli accenti
Verso de’ Cieli, e testimoni a noi
620Sono le stelle sol: sembra che ferme
Restino per udirti; al pianto mio
Insensibile sta tutto il creato.
In quell’ore d’orror, cinto dal manto
D’oscura notte, d’investirmi io tento
625Dell’estro lor per tessere un inganno
A’ mali miei, per sollevar quest’alma
Dal grave peso, che l’affanna, e opprime.
De’ lor trasporti io tutto m’empio; eppure
Erger non posso il vol fin dove giunge
630Il genio lor. Divino Omero, eccelso
Miltono, a cui dell’aurea varia luce
Il tesoro fu tolto, ambo cantaste
In quell’orror, di cui vi cinse il fato.
Di questo orror vo in traccia, e più del giorno
635Mi consola, m’alletta. E perchè in seno
Or non mi bolle il sacro fuoco istesso,
Che v’infiammò? Perchè non ho la voce
Dell’Angelico Cantor, in cui risorto
Vide la Terra quell’amabil Cigno?
640„ Che le muse lattar più ch’altri mai!