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16 PRIMA

Di cui dispor si può: quel che il destino
Tiene ancora in sua man, viene assegnato
565Dall’uomo alla virtù. Finché possiede
Giovinezza e vigor, si fida altero
A quel tempo che gode. Un guardo solo
Al futuro non volge, e assai più saggio
Degli avi suoi si crede. Allor che bionda
570Quattro volte osservò l’ottava messe,
Pensa che forse è di ragion nemico
Dei suoi giorni il tenor: dopo due lustri
Ogni dubbio si scioglie, e al piano antico
Dà un sistema ch’è nuovo. Ei si rinfaccia
575Il suo ritardo vergognoso, e poscia
A dieci lustri nell’oprar da saggio
È fermo, è risoluto. Ancor rinnova
I propositi suoi: diman gli avvera;
Alfin muore qual visse. In simil guisa
580Anno ad anno succede, e lustro a lustro,
E per l’unico, grande, eterno affare
Un sol momento a noi rimane appena.
     Come se il viver mai termine avesse,
Vivon gli uomini appunto: e se dell’opre
585Lor si fa giusto peso, è forza il dire,
Che sicuri non son d’esser mortali.
Scossi per altro son quando la morte
Qualche improvviso stral lor vibra accanto.
Tutto s’agita il cor; ma benché vivo
590Resti tuttor della saetta il fischio,
Presto da noi si scorda, e più da noi
Non si rammenta il folgore che cadde
Quando n’è spento il fuoco, Il segno lieve
Del vol d’un augelletto in grembo all’aria,
595E il solco in mar, che vi segnò il naviglio,
Non così presto si disperde, quanto
II pensier della morte il cuor dell’uomo.
Da noi si chiude nella tomba istessa,
In cui restan color, che a noi fur cari;
600Nella tomba si perde insiem col pianto
Sulle ceneri lor da noi già sparso.