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316 VENTESIMAQUARTA NOTTE.

Notte ti lascio, addio; che non più cinto
405Dall’ombre tue mi veggo: un giorno eterno,
Or comincia per me 5 l’anima mia
Del più vivo piacere ora è ricolma .
Io, dal nulla creato, posso ancora
Gemiti trar 5u pochi affanni, e rari $
410Io, che per essi un sommo Lene aspetto?
Anima mia, per questi pochi istanti,
Che ci restano ancor, godiam la vita
Ripensando al morir: unico mezzo
Per viver lieto, e per morire in pace.
415Vivo il piacere in me tenga la sptme.
Sia la virtù de’ miei pensier l’oggetto,
E il premio attenda da quel Dio sì grande,
Sì liberal, che cader gli astri un giorno
Lasciò dal serto di sua fronte augusta.
420Sorgi* Lorenzo, in questa ora propizia,
Ora, che Tuom vieppiù col cielo unisce,
Ora, che al giunto in sen rapidi i raggi
Porta del ver, come cadenti stelle:
Destati: il tuo Filandro è che ti chiama,
425Ti risveglia, che desto esser dovrai
Ber sempre, allor che immerso in alto sonno
Sarà tutto il creato, allor ch’estinti
Tutti gli astri saranno, allor che il tempo,
Qual robusto SansGn, nel suo furore
430Scosse rdel mondo le colonne, e svelte
Sepolto giacerà della natura
Nelle vaste mine, e allor che sovra
La già «penta natura unica regni
Oscura notte universale, eterna.