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314 VENTESIMAQUARTA

D’una dolfce pietà. Languida frase!’
Deh col ciglio d’un Dio mira dal tuo
Lucido albergo, dal sublime Olimpo,
Che da’ secoli eterni ò- tuo ’soggiorno,
330Ove angelica vista unqua non giunge,
Se non retta da te: pria traversando
Degli enti ignoti le raggianti schiere;
Le immense gerarchie, che «otto a’ varj.
Vessilli onnipotenti in ciel si stanno
335Di sempre nuovo amor fiammisperanti;
Quella frapposta, ed infinita turba
D’enti maraviglisi 9 avida sempre
Di riposarti in sen, quando la inviti;
L’ampia folla de’ mondi; il giro vasto
340Ove sparge&ti un di qual nebbia i soli:
Nel più profondo sen di questa valle
Una mira di piolve infiama parte,
Che ancor respira: ah tu, Sigrior, perdona
I falli suoi, le sue virtudi ancora;
345Che son falli più lievi, e di virtude
Hanno sol per metà ìa vera impronta
Deh non fia mai, Signor, ch'io chiuda i lurni
Che più sol non vedran, 9ebben la nottb
A scender segua, ed a salir l’aurora,
350Pria che da te quest’alma mia riceva r
Pegno dèi tuo perdon, del sommo bene .
1/ uom la pena abbòrrisce, ed è per l’uoùio
Terribile, sebbten djari un istante:,
E la pena,, di’ or provo, oh quanto è mai
355Terribile per me! Gran Dio, ti degna
Nel gran momento, in cui coll’uom t’incontri,
Che dolcemente la tua man pietosa
Mi distenda sul mix) gelido letto,
Ove ta* affretta la natura, ed ove
360Morbo nascosto ancor vieppiù m’incalza,
E sia scolpita allor sulla mia tomba
Questa gran verità, che in senò ho impressa,
Che da’ secèli eterni il fatto scrisse i
Nel suo vcduine, ove. dell’uom si parlai