È un raggio estinto del divin splendore, 135Un imperfetto abbozzo, un smorto quadro
Della grandezza eterna. È un debol figlio
D’ignobil creta. È d’una gloria immensa
Erede illustre. È un fragile immortale.
Un insetto infinito. Un verme. Un Dio. 140Di me stesso atterrito io mi confondo,
In me stesso io mi perdo. Il mio pensiero,
Nel suo tetto stranier, tutto mi scorre
Con maraviglia di spavento mista.
L’anima mia se cerca, in se si posa 145Per vedersi qual è. Stupida, incerta
Se stessa osserva avidamente, e freme
Nel rimanersi ignota. E l’uom che strano
Mistero per se stesso! In questo stato
Di miseria, in cui vive, oh qual conserva 150Fregio di maestà! Qual aria altera
Regna tuttora di trionfo in questo
Esser che soffre! Tacita, indecisa
Tra speranza e timor la mia ragione
Rimansi inquieta, e sovra l’esser mio 155Pronunziare non sa. Ora di gioje
Ricca piena m’investe; i suoi trasporti
Risento, ed ora un fier timor m’abbatte
Onde in faccia a me stesso io tremo. Ma....
Chi può far salvi i giorni miei?... Ma pure 160Chi distruggermi puote? il braccio istesso
D’un Angel non potria tormi al sepolcro,
Nè in quel fissarmi mai potrian le intere
Squadre Angeliche. Nò. Dell’alma mia
la sostanza immortal dirsi non puote 165Semplice congettura: ampia riprova
N’è tuttociò, che di natura è figlio.
Geloso il Ciel dell’opra sua più bella,
La Terra, il Mare, e le rotanti sfere
Volle che luce a lei fossero, e guida 170A discuoprir se stessa: e al sonno ancora
Si aspetta ad erudirla, allor che questo
Tacito Nume alla sua dolce possa