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254 VENTESIMA

Il languido mio cor: se stanchi, e muti
Tutti gli affetèi or sonore tace ornai
L’amicizia per me: se ornai la morte
90Tolse da queste braccia un dopo Y altra - *
Tutti gli amiòi miei, di cinger compie
Me stesso ancor dell’ombra sua funesta .
Notte, e potrai di quel celeste foco,
Che m’ardeva nel sen > che solo or getta
95Semivivescintille, un’altra volta
Le ceneri animar? O notte, io deggio
A te sola i pensier, che il labbro pinse:
Tu gì’ ispirasti a me nell’ore chete v
In cui volgono a te gli afflitti amanti
100I lor sospiri ascosi} e teco, allora
Che godeva tranquillo ogni mortale
Le dolcezze del sonno, io sol vegliai .
L’innamorata Dea, che già si finse
Scender cheta dal suo lucido trono,
105E d’omhrè avvolta d’un mortale in braccio
Posar, non senti mai pel suo pastore
Queir amor, ch’io per te sempr’ebbi in seno .
Eppure a te, che al canto mio sì amica
Fosti che sacro orrore all’alma ispiri.
110Fu d’ogni lode questo labbro avaro.
Perchè a tanto dover non resti ingrato,
Or alla musa mia porger ti degna
v Quest’ultimo favor. E voi, celesti
Sfere, prestate a me l’alta armonia,
115Perchè porgere io possa un degn* omaggia
A colei, che di voi siede regina m 7
E poi sospenderò questa mia cetra
Per tornarla a temprare allor che desta
Dall’angeliche voci, andrò sorgendo
120Dall’urna per unir gli accenti miei
Col dolcissimo suon dell’arpe d’oro
Da lor percosse in quel soggiorno amico,’
Ove ingresso non han vecchiezza, o mali:
In quel soggiorno fortunato, in cui
125Seuipre ignote saranno e colpe; e morte.