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232 DECIMASETTIMA

Morbo crudel. Ei sol diviene un’arte
Funesta oh quanto! di destare il riso
25Con mille vani amabili concetti;
Di far, che la ragion vada smarrita
Per mille torte vie; che fronte al vero
Faccian mille sofismi, e al vero in faccia
Sorgano mille nubi, ove un asilo
30Possa lo spirto aver, se perde lena,
E fuggir d’evidenza il lume ingrato.
Il cieco mondo ammira, ama, ed esalta
Pregio sì van, che tali rischj ha seco:
Crede che raro sia: ma rara è solo,
35Lorenzo, la saviezza, e quello abbonda:
Che se talun n’è privo, in lui lo desta
Una sola passion. Talora avvenne,
Che vivo motto disse ignaro labbro
Da vinoso vapore a lui dettato.
40E di spirito tal sempre sostegno
Un ramo di follìa. Tal vivo lampo
Spicca, se una cagion pone in tumulto
(E sia questa qual vuoi) gl’igniti umori,
Che dal cerebro al cor fanno viaggio.
45Può il caso far, che un erudito ingegno
Abbia, indotto rival; ma tu disprezza
Gloria sì vil, nell’osservar l’errore
Di stupido uditor, che non comprende
I lepidi tuoi detti, e che si duole
50Con socratica voce, e fosco ciglio
Di trovarsi per caso un folle accanto.
Si trova in questa terra, io lo confesso,
Di meccanici moti al ciglio ascosi
Strana rapidità, stupendo, e vivo
55Moto di spirti in sen dell’uomo accolti,
L’agitarsi de’ quai non forma idee;
Donde sol nasce una leggera spuma
Di gioja tal che mai quiete non trova,
Che s’erge, e brilla per un sol momento,
60Ed in quel moto vorticoso inquieto
L’anima resta sbalordita, e lassa.