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198 DECIMAQUARTA

L’avarizia è simii, cure novelle,. • ’!"
Sempre all’avaro iinpoa; senza riposo
Son per esso i travagli, e quella meta,
Ove credea di riposar, più lungi Sen
600va quanto la finseasc vicina»
Il suo bisogno sol tollera almeno
Chi vive in povertà: ma doppio affanna
Il ricco angustia; i suoi bisogni soffre,
Che accrescono ognora, e soffre il fiero,
605Stimolo d[el desio, che più s’accresce, ~
Quanta;iiàggiore il suo tesor si rende.
L’o[ìu3enza eccessiva e grave peso,
Che la Felicità turba, -ed opprime:
E sol mediocrità piacere apporta.
610Ciò che all’uomo abbisogna, è del suo vero
Piacer la meta, c se più inoltra, il passo?
Ei più lieto non àj: raddoppia invano.;
La fortunali suoi> doni: i sensi nostri
Sazj già son, né 1 più ricever potino» Una
615copia maggior produce in noi •./
Ciò che nell’acque m breve spazio accolte
Avvien, se* a ior 3i toJga ogni ntegno.
Quella per pochi Stanti in noi risveglia
Moto maggior; ma rima* presto estinto
620L’impeto pàssegger. Noti lice all’uomo-.;, v
Ergersi oltre i confini a lui prescritti * I
Dalla natura., oltrepassar le mete - *
Delle potenza sue; ina torna a forza •
Di diletti, di beni entro quel giro,
625Che per tutti è comun. ape contempla:
Sol quel liquor da’ fiori estrae, che soffre
La debolezza»ua; nè più diletti
Serba il creato all’uom, che» sazj ha i scusi..
Pena divien feri* Pavida sete, ’
630Se tuttor» la risenta, e trova affanno. Dello
stesso piacer nella sorgente •
Il soverchio piacer duolo si rende,
E spesso uccide un troppo ardente affetto.,
L’orgoglioso opulento invano adunque.