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NOTTE. 157

Farsi dovean per ottener l 1 impero
Del core uman, fu dallo spirto accorto
Stabilita la pace, e niun dell’altro
È più geloso. Ed or lieto s’immerge
95L’uomo nel fango: ad ogni infame eccésso.
Corre lenza rimorso, ed a se stesso,
Scosso ogni orrore, i falli sioi perdona.
E chi non chiami abbominevol 1 arte
Questa, che toglie ad ogni volto umano
10011 nativo rossor, che di vergogna
Incapace lo rende? Eppure allatta
1/ avvilirsi così,* gloria si chiama.
S’applaude il reo cantor dell’empia impresa,
Gli piace il suo delitto: e il vizio infame
105Temerario s’avanza, e dalla lode
Quel premio vuol, che alla virù destina
quanto ingombra il letterario monda
È da’ codici rei di questa impura
Licenziosa moral! Quanto è maggiore v
110La schiera di color, che i folli sensi
Prendono a sostener di quella ov’abbia
Stabil difesa, e la ragione, e l’alma!
Ovunque il genio uman sparge di fiorì
L’orror del vizio, a rivestir s’affanna.
115Di splendore ogni detto, e l’onda impura
Render vuole immortai col dolco canto.
Ma non giunga al cantor, che tutta intende
La sua grandezza, quella taccia istessa,
Che soffrir dee chi della colpa è vate,
120Se non mancano al vizio, alla follìa
Amabili sirene: ha il mondo ancora
Celesti muse, che con voce altera
E di ragione, e di virtù sublime
Ripeter fanno i generosi accenti.
125Quanto] eccelso è* il cantor, che sdegna il passo
Fermar del tempo nell’augusto cerchio,
E che mirando alla natura in seno,
Questa misera terra un punto vide
( Che punto è pur! ). Da questo punto oscuro