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NOTTE. 133

Ai gemiti dell’uomo, a’ suoi tormenti
Sarà l’eternità? Se questo 6 il fato,
Che a’ viventi k si serba, è ingiusto, è strano.
Assordin pur la nostri voci il cielo,
485Un essere incompleto adunque è l’uomo,
Esser, che al suo Fattor gloria non porta.
Resta del mondo il Re qual sozza macchia
Nel maestoso accordo, onde risulta
Della natura tutto il quadro eccelso.
490E che? Per l’émpio sol dunque si serba
Opulenza, e piacer: miseria, e pianto
È ciò, che ottien chi alla virtude è fido?
E più infelice è quei, che a lieta sorte
Ha diritto maggior? Gran Dio, che sei
495Della giustizia il fonte, e tu potesti
Mirar tranquillo la viitude oppressa,
E di serto vegal la colpa adorni?
Uomo, che saggio sei, che mar ti resta
Da sperar, da temer, se guida al niente
500È la tomba feral? Perchè si puro
Vegli costante a Qonservar quel core t
Che rimorsi non ha? Sa™io ti credi?
Ah che folle tu sei; t’affanni in vano
A vincer sogni, a debellar chimere.
505Virtude, vecità! Nomi che l’uomo
Sempre mai celebrò, nomi che furo
In ogni tempo venerati, "sacn,
Ricchi di plauso ovunque, e posti in Cielo
Piangi su questi nomi ognun, se Palma - >
510Debbe un giorno morir: tormenti sono
A’ nostri mali aggiuHti, e son sorgente
Di più miseri giorni. A1P usui che giova
jLa virtude, se questa o cresce, o irrita
I suoi disastri? A che servire a lei?
515II suo premio dov’è? Se questo è vano,
Qual resta la virtude? Il più sublime
Pregio di lei è quel piacer che in petto
L’uomo risente nel saper eh* ei scelse
Delle ie la miglior. Ma questa scelta.