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naggio anch’esso di regio sangue. E così adunque seguì
questa spedizione lacedemonica sotto il comando di Pausania.
11. Ma i legati di Atene e delle altre città, i quali nulla sapevano dell’accaduto, e avevano fra sè concertato di andarsene e di tornare ciascuno alle case sue; presentatisi, allo spuntare del nuovo giorno, innanzi agli Efori, parlarono loro in questa maniera: Rimanetevi pur voi qua, o Lacedemoni, a celebrare le vostre feste Giacinzie, e a darvi buon tempo, con manifesto inganno dei vostri amici. Ma gli Ateniesi cosi ingiuriati da voi, e destituiti di ogni soccorso, sapranno ben essi comporsi col re di Persia nel miglior modo che sia possibile. E strettici noi una volta coi Persiani, e divenuti loro alleati, chiaro diventa che dovremo seguirli in guerra contro chiunque ci condurranno: del qual fatto voi pure, o Spartani, sentirete in appresso le conseguenze. Alle quali parole dei legati, risposero gli Efori con giuramento: Che si era già messo in via l’esercito di Sparta, e che, secondo ogni probabilità, dovea già avere raggiunto Oresteo, procedendo contro gli stranieri; col quale appellativo di stranieri essi designavano i Barbari. Ma i legati che nulla sapevano, domandarono agli Efori che cosa avevano voluto dire. E quando furono istruiti di tutto, fecero prima le meraviglie; indi corsero in fretta dietro all’esercito spartano: seguiti appresso da un’eletta di cinquemila opliti appartenenti alla classe dei Perieci lacedemonici.
12. E mentre tutte le genti suddette si spingevano verso l’Istmo, gli Argivi, i quali avevano promesso a