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di entrare in colloquio con lui; ma, per colmo di strazio, tutti lo chiamavano Aristodemo il vigliacco(52). Se non che quest’uomo stesso, alla battaglia dì Platea, seppe riscattarsi ampiamente delle antiche accuse.
232. Narrano ancora che un certo Pantite, appartenente egli pure al novero dei Trecento, essendo stato spedito messaggere in Tessaglia, riesci in quel modo a salvar la vìta: ma che poi tornato in patria, e caricato ivi d’ogni ignominia, si appiccò da sè per la gola.
233. I Tebani poi, comandati da Leontiade, seguirono fino a un certo punto, per forza, la parte ellenica, e a fianco degli Elleni combatterono il re di Persia. Ma quando videro prevalere la fortuna persiana; e nel mentre che i Greci di Leonida si affrettavano a occupare il poggio; essi abbandonarono le ordinanze, e colle palme levate al cielo, andarono ai Barbari, dicendo (come era verissimo), che la loro devozione alla causa medica restava inconcussa; e che eglino per i primi avevano fatto al re l’omaggio della terra e dell’acqua. Che la forza soltanto aveva potuto indurli a prender parte alla fazione delle Termopile; onde erano netti da ogni colpa per i passati travagli di Serse. Così parlarono i Tebani, e così si salvarono: molto più che avevano anche nei Tessali dei buoni testimoni dei loro detti. Ma non perciò le cose loro trascorsero affatto liscie. Perchè, quando i detti Tebani furono ammessi entro al campo nemico, e vennero così in potere dei Barbari, alcuni di loro rimasero uccisi; e agli altri tutti fu, per comando di Serse, impresso di stimmate il corpo, cominciando da Leontiade. Il cui figliolo Eurimaco fu, in progresso di tempo, ucciso dai Piateesi,
RICCI, Istorie Erodoto, III. 10