Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/97

 
 
97


fare delle riserve. A tutte le nazioni, alle Chiese, ai principi, in quest’ultimo affare parve non vedere attivo in Roma che un basso interesse. Ciò non irritava tanto gli animi, quanto li disgustava; ed è assai men dannosa l’ira, che il dispregio; è assai men perdita quella de’ beni temporali esposti alla violenza della persecuzione, che quella della propria morale dignità. Pur troppo la Providenza divina, che volea ripurgare dalla cupidigia quella prima Sede cui non abbandona giammai, dovette farle subire la prova più amara e la più rigorosa. Ella permise che quella cupidigia fosse vinta per le vie della violenza, dell’odio e del dispregio; e pur troppo ella non cede giammai se non al peso della forza che l’opprime. Ma la sconfitta di Roma lasciò negli animi impresse disposizioni a lei sì contrarie, che la Chiesa di Gesù Cristo ne rimase oltremodo indebolita. Questa circostanza fu quella che sommamente favorì le eresie del secolo xvi: queste trovarono i principi allassati e illanguiditi nella stima e nell’amore della santa Sede, perchè di lei scandalizzati, però non disposti a sostenerla; se non anco lieti di vedere brulicare degli audaci ribelli di mezzo al Clero stesso contro i Papi, che intuonassero libertà da di sotto al giogo vecchio e nojoso. Quella libertà intanto che veniva intonata, era licenza: e diceva di più che i principi non potessero intendere allora: era l’indipendenza della ragione naturale da ogni rivelazione positiva: era quel razionalismo fatale che, come un germe di morte, venne sviluppandosi gli anni vegnenti nella gran pianta dell’incredulità, la quale aduggiò la terra, mutò i costumi sociali, scrollò i troni, e rese pensosa l’umanità su’ suoi futuri destini. La rivoluzione di Francia e d’Europa rimonta a sì alti principî.

105. Un’altra conseguenza dell’affare delle riserve oltre a ogni dire funesta, fu come abbiamo accennato, la nominazione de’ Vescovi ceduta a’ principi secolari1, colla quale venne scemata la libertà delle elezioni, che era pure costata sì magnanimi sforzi, sì lunghi pericoli, sì estremi travagli a un Gregorio vii, e per de’ secoli a’ suoi invitti successori. Diremo che nel Concordato di Bologna del 1516, per conservare alcuni vantaggi economici, Roma abbia ceduto una parte di questa preziosa libertà? Nol diremo noi giammai; nè ci scapperà dalle labbra una parola di biasimo sopra un atto che fece con grande maturità di consiglio Leone x, e che udirono leggere gli orecchi de’ Padri di un Concilio generale2. Ma chi ci impedirà però di deplorare le tristissime circostanze de’ tempi, che resero, siccome un minor male, necessaria una sì onerosa convenzione? Chi ci terrà dal lagrimare la dura sorte della sapienza di un tanto Pontefice, e di un tanto Concilio, a cui toccò di dover pure abbandonar di nuovo al potere laicale una gran parte di quella preziosa libertà delle elezioni, per riven-


    judicetur in posterum quominus electionem liberam habeatis, sicut Canonici Ecclesiarum Cathedralium, quae Mediolanensi Ecclesiae subjacent. Con tanta dilicatezza e nobiltà procedevano nell’affare delle elezioni i Pontefici di questi tempi!

  1. In Inghilterra, poco prima del Concordato di Leone x con Francesco i, era stata ceduta la nomina de’ Vescovati al Re con un indulto Pontificio. Or sarà egli vero che il successore di Leone x, Adriano vi, cedesse a Carlo v, e a’ re di Spagna che gli succederebbero, la nomina de’ Vescovi di quel regno, in mostra di sua gratitudine, come a un monarca suo allievo, e a’ cui beneficî era debitore del Pontificato? Possibile che la libertà della Chiesa sia stata così donata via quasi come vil moneta con cui pagare delle obbligazioni private e personali! Che infelice liberalità sarebbe stata mai questa?
  2. È fino lepida questa frase di Natale Alessandro parlando delle elezioni: Jus plebis in Reges Christianissimos ecclesie gallicanae libertatibus et antiquo more ab Ecclesia tacite saltem approbato transfusum est. (Hist. Eccles. In saec. I Dissert. viii.) Belle libertà quelle che assudditano la Chiesa di Dio a’ principi temporali! Si dovrebbero ben con ragione chiamare «la servitù della Chiesa Gallicana.»

Rosmini - Cinque Piaghe12