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con un trionfo così giusto e così puro sopra le potenze del secolo, la affidò di tanto; le sue necessità quasi ve la costrinsero, ed altre cause più deplorabili entrarono in parte di sì grave mutazione di disciplina. Non già che la Santa Sede non abbia diritto di riserbare le elezioni a sè, ove uno straordinario bisogno l’esiga: non manca a quella Sede mai il dritto, diciamolo ancora, di salvare la Chiesa, ma furono le riserve ordinarie e universali che sollevarono contro essa tutti gl’interessi. Le querele cominciarono quasi a un tempo colle riserve, e già nel secolo xiii, per far tacere gli Inglesi, Gregorio ix dovea permettere che non conferirebbe più benefizî di padronato secolare (Ep. xiii.). Poco dopo si richiedeva al Concilio di Lione un provvedimento (Ann. 1245.); e non ottenutolo, da per tutto venne meno il rispetto dovuto alla madre di tutte le Chiese, e atti ostili uscirono contro di essa. In Inghilterra Eduardo III annullava le provisioni pontificie (Ann. 1343.). In Francia il Clero gallicano faceva decreti da sè stesso, coi quali imponeva leggi al Papa, e Carlo vi nel 1406 gli abbracciava que’ decreti come leggi dello Stato. Se il Concilio di Costanza, pressato da tutte parti a dar di piglio alle riserve pontificie, se ne rattenne per un cotal resto di riverenza verso il supremo Gerarca, succedette ben presto quello di Basilea più impaziente e più ardito, e ne fece man bassa; e i decreti di Basilea contro le riserve, la grazie aspettative e le annate, si accolsero come piovuti dal Cielo dalla Francia che li avea provocati, e nel 1438 passarono nella troppo famosa prammatica sanzione. La Germania ne imita l’esempio tosto dopo nel 1439. e poco appresso cedendo sempre più i sommi Pontefici, si compongono le discordie coi concordati di Eugenio iv e di Nicolò v degli anni 1446 e 14481. L’abuso questa volta era dalla parte della Chiesa: dobbiamo confessarlo coi sommi Pontefici stessi, che ne convennero ingenuamente. E così l’affare delle riserve andò a finire in modo, che la Sede apostolica per cagione di esse fu tanto umiliata, quando era stata prima gloriosamente innalzata pel trionfo da lei riportato nell’affare delle investiture.

104. Ma ciò che v’ha di più deplorabile, sono le conseguenze funestissime che lasciò questo affare nella Chiesa anche dopo che fu in qualche modo terminato. La guerra delle investiture era stata più procellosa, è vero; ma le ferite sue erano di una natura più benigna, e più facili ad essere rammarginate. Roma brillava, in quel suo combattimento, di tutto lo splendore della giustizia, della magnanimità e del disinteresse, e la sola forza bruta, la sola scostumatezza e la mensogna era contro di lei2. Non così nell’af-

  1. Il primo di questi due concordati fu conchiuso a Francfort, e il secondo in Aschaffenburg sotto Federico iii.
  2. Ho già osservato che astenendosi i romani Pontefici dal por le mani senza necessità nelle elezioni Vescovili potevano parlare con più vigore a’ principi, e distorli dal porvele essa. Ha gran forza quel poter dire quando Papa Adriano scrivea a Carlo Magno: Nunquam nos in qualibet electione invenimus, nec invenire avemus. Qual valore non prende, da questo precedente, l’avviso del Papa che viene appresso: Sed neque vestram excellentiam optamus in talem rem incumbere. Sed qualis a Clero et Plebe... electus canonice fuerit, et nihil sit quod sacro obsit ordini, solita traditione illum ordinamus (Tom. ii. Conc. Gall. p. 95 e 129). E durante il dissidio per le Investiture que’ grandi Pontefici non finirono di assicurare i principi, che nel sostenere la libertà della Chiesa, essi non avevano alcuna mira secondaria di tirare a sè le elezioni o di influire in esse; e nulla ommisero per rimuovere dall’anima de’ principi questo sospetto. Pasquale ii scriveva ad Enrico i re d’Inghitterra: Inter ista, Rex, nullius tibi persuasio profana surripiat, quasi aut potestati tuae aliquid diminuere, aut nos in episcoporum promotione aliquid nobis velimus amplius vindicare (Eadmero Lib. iii. Histor. Novor.) Alessandro iii (sec. xii) fu così dilicato in tal parte, che avendo fabbricato la città di Alessandria, e datole il primo Vescovo, dichiarò che non intendeva di aver con quell’atto a pregiudicare alla libertà delle elezioni de’ prelati pel tempo avvenire: De novitate et necessitate processit, egli dice nella Bolla, quod nulla praecedente electione, auctoritate nostra, vobis et Ecclesiae vestrae electum providimus. Statuimus ut non prae-