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nita, il re finalmente arrendesi. Ma che? qui appunto, nello stringere della pace, in sul restituirsi alla Chiesa i sacri suoi diritti violati, sono i tre Vescovi nunzi al Papa quelli che surgono a intorbidare ogni cosa: essi con una impudente e appena credibile menzogna rivoltano il re di nuovo nel reo partito, e mantengono la schiavitù della Chiesa. L’impostura smascherata poscia e punita di scomunica fu questa. Essi asserirono, il Papa aver loro parlato segretamente, dando licenza al re di fare quello che proibiva nelle sue lettere, e non averlo egli voluto mettere in iscrittura, acciocchè gli altri principi non togliessero occasione di volerne il medesimo1. In vano i due monaci compagni di ambasceria protestano, negano il fatto: vilipenderli, opprimerli. Così perì allora ogni speranza di concordia, e non fu ostinazione del re, ma nequizia di Vescovi adulatori, simoniaci, infamemente perduti.

Egli è dunque una evidente ingiustizia degli storici moderni l’abbandonar che fanno il merito della questione, per trattenersi in un punto accessorio di procedura, quando dimenticano la causa per la quale si combatteva, e tutti sono occupati dei combattenti. I combattenti o i capi de’ combattenti erano i Papi ed i Sovrani: ma la causa per la quale si combatteva era quella del Clero, pugnando i primi per volerlo restituire all’antica virtù e dignità, i secondi per mantenergli i vizî: sicchè i principi non erano, per così dire, che condottieri al soldo della feccia del ceto ecclesiastico, il quale sotto il loro scudo, siccome fa sempre, cercava anche allora l’impunità.

100. Che dunque? Conveniva che il Capo della Chiesa si lasciasse impaurire dalla forza bruta di cui disponeva il Clero corrotto? Conveniva che l’animo de’ successori di San Pietro venisse meno considerando la difficoltà dell’impresa? O che all’aspetto de’ mali che sarebbero nati dalla invincibile caparbietà degli ecclesiastici ricusanti gli avvisi e le leggi salutari, si fossero


    pienza con che efficacia, robustezza e severità abbiano i Padri nostri combattuto ne’ preteriti tempi contro quella velenosa radice di pravita’ simoniaca, l’investitura. In tempo di Urbano, signore e predecessore nostro di una memoria degna in Cristo di riverenza, fu raccolto presso Bari un venerabil Concilio di Vescovi ed Abati venutivi da varie parti, e in esso la tua Religione e Noi stessi siamo intervenuti, come quelli ch’erano allora con noi ben si ricordano, e contro quella peste fu pubblicata la sentenza di scomunicazione. E noi pure, che abbiamo lo stesso spirito de’ Padri nostri, lo stesso sentiamo, e le stesse cose testifichiamo.» Questa lettera ha la data de li 11 dicembre dell’anno 1102.

  1. Ecco quel che Pasquale rispose come ebbe udita l’infame menzogna de’ tre Vescovi cortigiani: «Noi chiamiamo in testimonio contro l’anima nostra Gesù che scruta le reni e i cuori, se dall’istante che abbiamo pigliato la cura di questa santa Sede giammai un così immane delitto ci sia nè pur in mente disceso. E guardici Iddio, che non ne veniam mai di soppiatto infetti, a tale che una cosa pronta abbiamo in bocca, e un’altra nascosta nel cuore; quando contro ai mendaci profeti fu vibrata l’imprecazione: «Disperda il Signore tutte le labbra dolose.» Che se pur tacendo soffrissimo che la Chiesa venisse macchiata col fiele dell’amarezza, e colla radice della empietà, in che maniera potremmo noi scusarci innanzi all’eterno Giudice; mentre il Signore in ammaestramento de’ Sacerdoti ha detto al Profeta; «Ho posto Te speculatore sulla Casa d’Israele?» Non ben custodisce la città colui che posto nella rocca, mentre non bada espone la cittá ad esser presa da’ nemici. Ora se una mano laica dà il segno del pastorale uffizio la verga, e il segnacolo della fede l’anello che fanno oggimai nella Chiesa i Pontefici? L’onore della Chiesa è a terra, il vigore detta disciplina soluto, ogni cristiana religion conculcata, ove noi soffriamo che la temerità dei laici presuma di far ciò, che noi sappiamo esser a’ soli Sacerdoti dovuto. No, non è dei laici tradir la Chiesa nè cosa da figli macchiar d’adulterio la madre — perchè ai laici appartiene difendere la Chiesa e non tradirla. In Vero Ozia tirando a sè illecitamente l’ufficio di Sacerdote, fu percosso di lebbra. Anche i figliuoli d’Aronne imponendo sull’altare un fuoco straniero, furono consunti dalle fiamme divine ecc.» E seguita a provare l’illiceità che il principe conferisca a suo libito i Vescovati, scomunicando in fine gl’impostori e quelli che erano stati intanto dal re investiti delle sedi episcopali.