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no a perpetua memoria quali leggi fondamentali e immutabili de’ regni cristiani: saranno essi fonti inesausti di pura felicità, finchè vengano religiosamente osservati: maledizione e sventura a chi primo gli infrange.

Questo non è un sogno: è un fatto realissimo: è la costituzione de’ regni cristiani, nata nel medio evo, in quel tempo in cui lo spirito del Vangelo era pervenuto a dominare e sottomettere a sè le più alte cime della società. Que’ principi penetrati dalla dottrina di Cristo, si sentivano più che mai ferventi per essa, e avrebbero voluto ogni cosa patire, prima di rinunziarvi: perciò sicuri di sè stessi, non temevano di pronunziare de’ giuramenti, che trovavano tanto equi, tanto umani, e di voler che con essi si legassero anche i loro discendenti come con fortunatissimi legami. L’equità e la carità verso i loro popoli, che lavati nelle acque di uno stesso battesimo, consideravano come proprî fratelli, oggetti venerabili e sacri, confidati alle loro mani dal re de’ regi; e lo zelo ardente della fede prevalse sull’ambizione, sull’amore della propria potenza; e per la gloria di questa fede, pel vero bene de’ popoli, furono assai contenti di tramandare a’ loro successori un imperio meno assoluto quanto alla forma, ma più nobile perchè più giusto, più pietoso, e consacrato anch’egli dalla Religione; accrescendo così di dignità morale, e con essa di stabilità e di consistenza quegli scettri che si abbassavano sotto a una legge eterna di amore e di giustizia, il servire alla quale è veramente e solamente regnare. Questa costituzione cristiana de’ regni, parte fu scritta, parte non iscritta, ma fu sempre consentita da tutti, e altre volte non v’avea principe, non popolo, che la mettesse in dubbio: perchè tutti concordi, tutti religiosi, non aveano cagione di farlo: era un bene comune: a tutti premeva di mantenerla. Talora ella si riduceva a leggi più speciali, più precise: tali erano quelle che presiedevano all’Impero romano, e al regno di Germania: veggiamolo nel fatto che abbiamo alle mani di Enrico.

94. Quando Enrico, minacciato di esser deposto per sempre da’ Signori tedeschi assembrati a Tribur, venne al Papa nel castello di Canossa, impetrando l’assoluzione della scomunica, per muoverlo a consentirgliela senza dilazione, addusse, che presto spirava l’anno da che era stato annodato colla scomunica, e l’urgenza in cui perciò lo mettevano «le leggi palatine», secondo le quali, se il re fosse stato un anno ed un giorno fuori della comunione della Chiesa, era dichiarato indegno del posto di re e decaduto ipso facto dal trono, senza potervi più essere ristabilito1; il che mosse il santo Pontefice a concedergli l’assoluzione; ingannato dagli atti di esterno pentimento che seppe simulare quell’infelice monarca.

Or come in Germania era fissato il tempo di un anno e di un giorno di scomunica per decadere dal regno; così presso tutti i troni cristiani s’avea per certo e consentito dalle parti interessate, che l’eresia e l’infedeltà privava del regno, e i giuramenti di fedeltà dati da’ sudditi non erano fatti che sotto condizione che il principe rimanesse nella fede cristiana cattolica2.

  1. Ecco le parole di Lamberto Scafnaburgense (ad ann. 1076): Ut si ante hanc diem excommunicatione non absolvitur, deinceps juxta palatinas leges indignus regio honore habeatur, nec ultra pro asserenda innocentia sua audientiam mereatur: proinde enixe petere, ut solo interim anathemate absolvatur etc. Che cosa sono queste leggi palatine, se non una vera costituzione?
  2. Enrico riconobbe questa condiziona annessa ai regni dei principi cristiani come venienti dalla tradizione della Chiesa, anche in una lettera che scrisse a Gregorio vii, nella quale dice così: Me quoque, licet indignus inter Christianos sum, ad regnum vocatus, te teste, quem sanctorum Patrum traditio soli Deo judicandum docuit, nec pro aliquo crimine nisi a fide (quod absit) exorbitaverim, deponendum asseruit.

    S. Tommaso, che è quello scrittore che ha raccolto la tradizione ecclesiastica con più estensione e sicurezza di ogni altro, e le cui decisioni sono considerate come voci della Chiesa, sostiene che questa «legge costitutiva» de’ regni cristiani, cioè che un re cat-