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Talora si diede la forma stessa di feudi ai beni ecclesiastici liberi. Così furono infeudate le decime1; e facendosi de’ passi sempre più innanzi, per questa via si attribuirono queste decime o altri beni liberi infeudati in beneficio ai laici, come si faceva talora dei veri feudi alla morte de’ Vescovi o degli Abati2; e perchè si considerava indivisa la dignità spirituale col beneficio temporale, toccava a vedersi de’ laici, e per lo più de’ soldati, comandare nelle Abbazie in mezzo a monaci come abati, e negli episcopi in mezzo a chierici come Vescovi3.

85. Questa congiunzione indivisa del temporale fu pertanto cagione che l’usurparsi il temporale fu un medesimo che un usurparsi anche lo spirituale: e quindi le investiture date da’ principi co’ segni della potestà spirituale, l’anello ed il pastorale: quindi vacanza intera di vescovato ove il principe riserbasse a sè i benefizi4: quindi le elezioni tutte invase dal principe5; quindi un mercimo-


    mancano di notare come un delitto dall’Imperatore Carlo il Grasso, l’aver dato a consumare ad Ugone figliuolo di Lottario il juniore le facoltà della Chiesa di Metz, quos sacri Canones, dicono futuro Episcopo reservari praecipiunt.

  1. Che le decime sieno state usurpate dai laici, e tenute in feudo e sieno state concesse in feudo dai principi, come pure da Vescovi rettori di Chiese, è cosa nota, ed apparisce dal corpo del jus canonico. Vedi l’Estravagante de Decim. cap. 26, e l’Estravagante de iis quae fiunt a Praetat. sine consensu capit. 17.
  2. Chi vuol vedere degli esempi di ciò che dico consulti la storia di Nat. Alessandro, sec. xiii e xiv, Dissert. viii. art. iii.
  3. Il Concilio di Meaux dell’anno 845, non mancò di parlare con apostolica libertà al re Carlo il Calvo che esercitava nella Chiesa un simigliante dispotismo accordando i beni della Chiesa ai laici, «di che avveniva che contro ogni autorità, contro i decreti dei Padri, e la consuetudine di tutta la cristiana religione, i laici risiedessero come padroni e maestri nei monasteri regolari in mezzo dei Sacerdoti e dei Leviti e d’altri religiosi, e che come fossero Abati decidessero della loro vita e conversazione, e li giudicassero: e che dispensassero loro e commettessero secondo la regola, le cure delle anime e i divini tabernacoli non solo senza la presenza, ma ben anco senza la consapevolezza del Vescovo.» Ved. i can. 10 e 42 del citato Concilio. E perciò quei Padri decretano ut praecepto illicita jure beneficiario de rebus ecclesiasticis facta a Vobis (parlano al re Carlo di Calvo) sine dilatione rescindantur, et ut de coetero ne fiant, a dignitate Vestri nominis regii caveatur (can. 8); e gli mettono sott’occhio con forza l’indegnità dello straziare la vesta di Cristo, ciò che non hanno fatto nè pure i soldati che l’hanno crocifisso: Ante oculos reducentes tunicam Christi, qui vos elegit et exaltavit, quam nec milites ausi fuerunt scindere, tempore vestro quantocitius reconsuite et resarcite: et nec violenta ablatione, nec illicitorum praeceptorum confirmatione res ab Ecclesiis vobis ad tuendum et defensandum ac propagandum commissis auferre tentate; sed ut sanctae memoriae avus et pater vester eas gubernandas vobis, fautore Deo dimiserunt redintegrate, praecepta regalia earumdem Ecclesiarum conservate et confirmate. Can. 2.

    È osservabile in questo Concilio, che si distinguono i beni dati alla Chiesa come Allodj e liberi, da quelli dati in Feudi; e si riprende il re principalmente per la dispensazione ai laici dei primi.

  4. Ecco come si esprime una Notitia de Villa Novilliaco, che sta nell’Appendice al Flodoardo; Defuncto Tispino Archiepiscopo, tenuit Dominus, rex Carolus Remense episcopium in suo dominatu, et dedidit villam Novilliacum in beneficio Anschero Saxoni ecc, cioè ad un soldato, dove si vede confuso il beneficio temporale coll’Episcopato. E perchè non v’è cosa che la cupidigia congiunta alla potenza non tenti e non inventi per giungere alla propria soddisfazione, i principi che si vedeano pressati dalla chiesa di non lasciar le Diocesi a lungo prive di pastore; inventarono di mandare invece dei vescovi una specie di commissari detti Corepiscopi, ritenendo intanto per sè i beni episcopali. Questi non pastori tribularono gravemente la Chiesa: indi i tanti lamenti e i tanti decreti dei Concilî del sec. xi contro i Corepiscopi, fino che questi esseri d’incerta natura: dopo dato alla Chiesa un lungo incomodo, cessarono intieramente. Flodoardo (L. iii. Hist. Remensis c. 10.) parlando d’una lettera d’Incmaro al sommo Pontefice Leone iv, dice così: In hac vero epistola, de his quos temeritas chorepiscopalis ordinare, vel quod Spiritum Sanctum consignando tradere praesumebat, requisivit. Et quod terrena potestas hac materia saepe offenderet, ut videlicet Episcopo quotibet defuncto, per Chorepiscopum solis Pontificibus debitum ministerium perageretur, et res ac facultates Ecclesiae saecularium usibus expenderentur, sicut et in nostra Ecclesia jam secundo actum est, etc.
  5. Chi vuol vedere quali sieno i passi pei quali i principi pervennero a invadere le e-

Rosmini - Cinque Piaghe.9