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Il settimo concilio ecumenico in fatti, che fu tenuto a Nicea in questo stesso secolo l’anno 787, non mancò anch’egli di fare scudo alla chiesa di un suo canone contro alla prepotenza di questo mondo, che suol persuadere lecito a sè stesso tutto che può: «Ogni elezione, dice il santo concilio (Can. 3), di Vescovi, o Preti, o Diaconi, fatta da’ principi, rimangasi irrita secondo la regola che dice: Se alcuno usando delle potestà secolari ottiene per esse una chiesa, sia deposto, e sieno segregati tutti quelli che con esso comunicano. Conciossiacchè è necessario che quegli che hassi a promuovere all’Episcopato, sia eletto da’ Vescovi, come fu definito dai santi Padri che convennero appresso Nicea.»
Il sinodo tenuto l’anno 844 vicino alla villa di Teodone (Can. 2), mandò un solenne monitorio ai regi fratelli Lotario, Lodovico e Carlo, perchè le chiese non rimanessero più oltre vedovate di pastore, siccome accadeva dal dipendere le elezioni di quei Vescovi da’ principi, i quali in discordia fra loro, non avevano il tempo e l’animo agl’interessi della chiesa, e così la chiesa da tale servitù partecipava di tutte le vicende del potere laicale: «come legati di Dio, dicono con molta dignità e libertà que’ padri, noi vi ammoniamo, che le sedi, le quali rimangonsi vedove di pastore per le vostre discordie, debbano senza dilazione, e rimossa al tutto qualsiasi peste di eretica simonia, ricevere i loro Vescovi, i quali vogliano essere dati da Dio conforme l’autorità de’ canoni, e da voi regolarmente designati, e dalla grazia dello spirito consecrati.»
Intorno a questo tempo stesso il sommo pontefice Nicolò I, fortissimo difensore de’ canoni in ogni cosa, non mancò di parlare più volte altamente anche contro questo abuso di mescolarsi nelle elezioni de’ Vescovi la laica potestà, come si vede, fra gli altri documenti, nella lettera da lui diretta ai Vescovi del regno di Lottario, a’ quali comanda sotto pena di scomunica di avvertire il re perchè tolga via Ilduino dalla chiesa di Cambrai, che gli avea data, sebbene ne fosse indegno e irregolare, e che prometta «al clero e al popolo di quella chiesa di eleggersi da sè un Vescovo a quel modo che prescrivono i sacri canoni» (Ep. lxiii).
Sotto il successore di Niccolò il grande, che fu Adriano II, si celebrò l’ottavo concilio ecumenico in Costantinopoli nell’869, tempo in cui già la libertà della chiesa era stata oltremodo vulnerata1. Si fanno quindi con tutta la forza le stesse proteste in difesa di questa libertà, si ripetono le stesse massime dell’antichità in ordine alle elezioni de’ Vescovi: proibizioni di non ordinar Vescovi per autorità e comando di principe sotto pena di deposizione2:
- ↑ I Vescovi di Francia in questo tempo non potevano più uscir del regno senza licenza espressa del re, nè un Metropolitano poteva inviare un Vescovo qual suo legato fuori di Stato come si rileva dalla lettera d’Incmaro di Reims a Papa Adriano scritta nell’869.
- ↑ Can. 8 Apostolicis et synodicis canonibus promotiones et consecrationes Episcoporum, et potentia et praeceptione principum factas interdicentibus, concordantes, definimus, et sententiam nos quoque proferimus, ut si quis Episcopus, per versutiam vet tyrannidem principum; hujusmodi dignitatis consecrationem susceperit, deponatur omnimodis, utpote, qui non ex voluntate Dei, et ritu ac decreto Ecclesiastico, sed ex voluntate carnalis sensus, ex hominibus, et per homines, Dei donum possidere voluit vet consensit.
Can. 33. Promotiones atque consecrationes Episcoporum concordans prioribus conciliis electione ac decreto Episcoporum Collegii fieri, sancta haec et universalis Synodus definit et statuit atque jure promulgat, neminem laicorum principum vel potentum semel inserere electioni Patriarchae, vel Metropolitae, aut cujuslibet Episcopi; ne videlicet inordinata hinc et incongrua fiat confusio vet contentio; praesertim cum nullam in talibus potestatem quemquam potestativorum vel caeterorum laicorum habere conveniat sed potius silere ac attendere sibi, usquequo regulariter a Collegio Ecclesiastico suscipiat