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operandosi quella e questa intorno allo stesso oggetto; come succede nelle altre società; ma distruggendosi un qualche ordine nel tempo stesso che se ne compone un altro. Prendiamo l’esempio appunto da quel memorabile tempo in cui il Clero per cagione dell’invasione dei barbari1 fu spinto ne’ governi temporali, epoca di marcia per la Chiesa di Dio, quell’epoca che forma l’oggetto principale della nostra attenzione.

Il progresso della Chiesa in quel tempo, il nuovo ordine che andava organizzandosi, era la santificazione della società civile. Questa società, fino allora pagana, dovea convertirsi al Cristianesimo; cioè dovea conformare tutte le sue leggi, la sua costituzione, e fino i suoi usi, al nuovo codice di grazia e di amore, il Vangelo; ma insieme con questo progresso venia distruggendosi un altro ordine di cose, e vi avea nella Chiesa anche un regresso. Poichè il nuovo avviamento, che portava la Chiesa nella società civile, traeva seco lo sconcio indicato, che l’Episcopato, distratto dalle sue naturali incumbenze, istruzione e culto2, venisse gittato nel pelago de’ secolareschi negozî. Tale occupazione fu una tentazione pel Clero improvvisa, sconosciuta, di cui si presentiva bensì il periodo3, ma a cui perciò non s’era ancora per esperienza appresa l’arte di resistere e di vincerla. Quindi a lungo andare l’umanità cadde nel terribil cimento: la santità del Clero diede un tracollo, e i più begli usi, e i più bei costumi ecclesiastici perirono. Ecco la distruzione che si operava a canto della organizzazione. Tale il dirò ancora, è la limitazione umana! Ella apparisce fino nella Chiesa, la quale nei suoi nuovi progressi e sviluppi soggiace pure ad una alterazione e ad un guasto.

58. Ma che succede a ciò? Dopo che l’organizzazione, che si intendeva conseguire, è compiuta, dopo che il periodo della distruzione è trascorso e tutto ha divorato ciò che era abbandonato dalla Providenza per così dire alla sua voracità; allora sembra per pochi istanti che questa distruzion consumata metta in pericolo la stessa esistenza della Chiesa, e che assorbisca nelle sue ruine, nell’abisso aperto dinanzi a lei anche in ciò che si era ottenuto e organizzato simultaneamente. In tale frangente la Chiesa, è turbata; appena la sua fede la sostiene; e nel suo estremo turbamento volge delle lamentevoli suppliche al divin Autor suo, che dorme nella navicella pericolante, ed allora batte il momento in che egli si desta, e minaccia il vento ed il mare. Allora l’esperienza è fatta; si conoscono a prova gli effetti funesti del principio di-

  1. Varie furono le cagioni dalle quali il Clero fu tratto per forza delle circostanze e veramente contro suo volere nei temporali reggimenti. Alle addotte da noi si può aggiungere quella che un istorico celebre esprime colle seguenti parole: «I Romani avevano un sommo disprezzo ed avversione per questi nuovi signori (i barbari) che inoltre la loro rusticità e ferocia naturale erano tutti pagani ed eretici. All’opposto nei popoli si accrebbe la fiducia ed il rispetto verso dei Vescovi, che erano tutti Romani e spesso persone delle più nobili e delle più ricche.» A questa causa aggiunge: Coll’andar del tempo però i barbari divenuti Cristiani entrarono nel Clero, e vi portarono i loro costumi: cosicchè si videro non solo i Cherici, ma fin anco gli stessi Vescovi cacciatori e guerrieri. Essi pure diventaron signori, e come tali obbligati a portarsi alle assemblee, nelle quali si regolavano gli affari dello stato, e che a un tempo medesimo erano Parlamenti e Concilî nazionali.« Fleury, Disc. vii sulla Stor. Eccl. § v.
  2. Quando nei primi tempi si trattò del ministrare alle tavole dei fedeli, gli Apostoli elessero i sette diaconi; di ciò incaricandoli. Quanto a se, dissero che non era conveniente che s’occupassero dei negozii temporali: e disegnarono le due funzioni eminentemente episcopali con queste parole: Nos ero orationi et ministerio veebi instantes erimus (Act. vi, 4). L’orazione corrisponde al Culto, e la predicazione all’Istruzione.
  3. Lo provano i timori che manifestano nei loro scritti S. Gregorio e gli altri Vescovi, che furono i primi a doversi ingolfare nei negozii secolareschi. Questi timori e lamenti vanno di mano in mano cessando nella Chiesa, sintomo dell’affezione che pigliava il Clero alle temporali fortune.

Rosmini - Cinque Piaghe6