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esser Vescovi, come un san Girolamo, un san Bernardo, una santa Caterina ed altri, parlarono però e scrissero con mirabile libertà e schiettezza de’ mali che affliggevano la Chiesa ne’ loro tempi, e della necessità e del modo di ristorarnela. Non già che io mi paragonassi pur da lontano a que’ grandi, ma io pensai, che il loro esempio dimostrava non esser per se riprovevole l’investigare, e il chiamar l’attenzione de’ Superiori della Chiesa sopra ciò che travaglia ed affatica la Sposa di Gesù Cristo.

2. Rassicuratomi sufficientemente con queste considerazioni, che io potea senza temerità dar luogo a’ pensieri, che mi si affollavano nell’animo, sullo stato e condizione presente della Chiesa, e che non era riprensibile cosa nè anco il versarli in carta e altrui comunicarli, mi nasceva un altro dubbio risguardante la prudenza, anzichè l’onestà della cosa. Consideravo, che tutti quelli, i quali hanno scritto di somiglianti materie ne’ tempi nostri, e che si sono proposto e hanno dichiaralo di voler tenere una strada media fra i due estremi, in luogo di piacere alle due potestà, della Chiesa e dello Stato, sono dispiaciuti egualmente all’una ed all’altra: il che mi provava la somma difficoltà che hanno tali materie ad esser trattate con soddisfazione universale; e quindi predicevo a me stesso, che, in luogo di giovare, non avrei forse, in iscrivendo le dette mie meditazioni, se non urtato ed offeso contro a tutte e due le potestà.

Ma a questo, io di nuovo mi replicavo, che io ragionavo in coscienza, e che perciò nessuno aveva ragione di prendersela contro di me quando anche io errassi: che io non cercavo punto il favore degli uomini, nè alcun vantaggio temporale; e perciò, che se gli uomini delle due parti l’avessero presa contro di me, io sarei stato compensato dal testimonio della mia coscienza, e dall’aspettazione del giudizio inappellabile.

3. D’altra parte, facevo meco stesso ragioni, quali potessero esser queste cose di cui si dovessero poter offender gli uomini delle due parti.

Dalla parte dello Stato, io consideravo, che una cosa sola poteva dispiacere ad alcuni, cioè il non saper io approvare la nomina de’ Vescovi lasciata in mano alla potestà secolare. Ma se io disapprovo un sì fatto privilegio, consideravo, io sono altresì persuaso intimamente, che egli non è meno funesto alla Chiesa, che allo Stato; e che un grave errore politico è quello di credere il contrario; e le ragioni che io ho alle mani di questo apparente paradosso, ed ho esposte nel presente libro, sono tali, che io mi posso appellare a qualsiasi uomo di Stato, il quale sappia approfondire una questione e vincere per forza di mente i comuni pregiudizii, che sappia vedere le conseguenze lontane di un principio politico, che sappia calcolare e accordare insieme tutte le cause concomitanti, dalle quali sole si può predire e misurare l’effetto totale di una qualsiasi massima di Stato. Ciò posto, io penso di dimostrare non minor premura pel bene dello Stato, che pel bene della Chiesa, in sostenendo una sì fatta opinione; e perciò i Sovrani non potranno ragionevolmente avere a male ciò che io dico, ma anzi ben riceverlo. Tutto al più, chi è di contrario avviso, mi opporrà, che io ne so poco di po-