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re l’umanità intera, quando all’opposto la povertà e la miseria d’idee e di sentimenti che forma l’apparecchio ed il seme della ecclesiastica istituzione moderna, non frutta che sacerdoti ignari di ciò che è laicato cristiano, e di ciò che è cristiano sacerdozio, e del vincolo sacro di questo con quello. Tali ministri di petto angustiato, di mente ingrettita, sono poi quelli che, fatti adulti, Sacerdoti e capi alle Chiese, educano degli altri Sacerdoti che riescono anco più fiacchi e più meschini di essi: e questi si fanno padri e istitutori ad altri decrescenti necessariamente di età in età, perocchè «il discepolo non è più del maestro (Matt. x, 24.)» fino a che Iddio medesimo non mandi aiuto, prendendogli della diletta sua Chiesa compassionevole misericordia.
25. Certo, solo de’ grandi uomini possono formare degli altri grandi uomini: e questo è appunto un altro pregio dell’educazione antica de’ Sacerdoti, che venìa condotta dalle mani de’ maggiori uomini che la Chiesa si avesse. All’opposto quindi hassi a ripetere la seconda cagione dell’insufficiente educazione de’ sacerdoti moderni.
Ne’ primi secoli, la casa del Vescovo era il Seminario dei Preti e de’ Diaconi; la presenza e la santa conversazione del loro Prelato era un’infocata lezione, continua, sublime, ove la teoria nelle dotte parole di lui, la pratica alle assidue sue pastorali occupazioni congiuntamente apprendevansi. E in tal modo a canto degli Alessandri si vedevano allora crescere bellamente i giovani Atanasî; a canto dei Sisti i Lorenzi. Quasi ogni gran Vescovo preparava nella sua famiglia a sè medesimo un degno di essergli successore, un erede de’ suoi meriti, del suo zelo, della sua sapienza; e a questa maniera d’istituzione si debbono tutti que’ sommi Pastori che resero così ammirabili, così felici i primi sei secoli della Chiesa: maniera ampia e compiuta d’istituzione onde passava per una tradizione famigliare di bocca in bocca fedelmente il sacro deposito delle divine e apostoliche dottrine: e che era pur essa apostolica, perciocchè gl’Irenei, i Panteni, gli Ermi, e tant’altri, avevano attinta la loro sapienza dai discepoli degli Apostoli, a quel modo stesso come gli Evodî, i Clementi, i Timotei, i Titi, gl’Ignazj, i Policarpi a’ piedi degli Apostoli, per usare una frase della Scrittura, erano stati istituiti. Credevasi allora alla grazia, credevasi che le parole del Pastore istituito da Cristo a maestro e governatore della Chiesa, ritraessero dal divino Fondatore una particolare ed unica efficacia; e in questa fede prendeva nerbo e vita soprannaturale la comunicata dottrina, che si scolpiva indelebilmente negli animi: dove tutto consigliava a renderla operativa; la dolcezza dell’eloquio, la santità della vita, la composizione e gravità delle maniere, la persuasione profonda del grand’uomo che amministrava.
«Io mi sovvengo» dice Ireneo, parlando della sua prima e preparatoria istituzione sotto il grande Policarpo «io mi sovvengo di quanto è avvenuto allora, meglio che di tutto ciò che è accaduto di poi; imperocchè le cose che si sono apprese nell’infanzia, nutricandosi per così dire e crescendo nello spirito coll’età, non si dimenticano più mai; di guisa che io potrei indicare ancora il luogo ove stava seduto il Beato Policarpo quando predicava la parola di Dio. Io ho ancora vivo e presente nel mio spirito con che gravità egli entrava ed usciva da per tutto ove che egli se ne andasse; quale era la sua santità in tutta la condotta della sua vita; quale la maestà che egli splendeva nel volto e in tutta la composizione esteriore del suo corpo; quali erano le tante esortazioni onde pasceva il suo popolo. E’ parmi di udirlo ancora raccontare in che egli aveva conversato con S. Giovanni, e con più altri che avevano veduto Gesù Cristo, le parole che egli aveva raccolte dalle loro bocche, e i particolari che gli erano stati narrati del divin Salvatore, sia circa i suoi miracoli, sia circa la sua dottrina: e tutto ciò che egli ne diceva era pienamente conforme alle divine scritture, sic- Rosmini - Cinque Piaghe.3