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ad Cor. Hom. xxi.): e allo stesso modo, nello stesso spirito, procedevano tutti gli antichi Vescovi.
160. Certo, che l’uso de’ beni della Chiesa sia fatto a dovere non basta che se ne renda conto a’ soli governi nè pur è sufficiente alla soddisfazione del popolo cristiano che offerisce il fatto suo piamente alla Chiesa. Laonde, sarebbe alla Chiesa d’incredibile giovamento in prima, che a tutti i beni posseduti da lei, specialmente dagli Ordini religiosi, fossero, con sapienti leggi, della Chiesa medesima, determinati colla maggior precisione possibile gli usi: a ciascun uso assegnata una congrua porzione: nè manchevole nè soverchia: si pubblicasse di poi un annuale rendiconto, sicchè apparisse a tutto il mondo il ricevuto e lo speso in quegli usi con una estrema chiarezza, sicchè l’opinione dei fedeli di Dio potesse apporre una sanzione di pubblica stima o di biasimo all’impiego di tali rendite, e così ne sarebbero anche i governi informati, senza bisogno di altro. No, per fermo, non conviene, non è espediente che la giustizia e la carità, secondo la quale opera la Chiesa nell’amministrazione economica de’ suoi beni temporali di qualunque specie, si resti sotto il moggio nascosta, anzi egli è più che mai desiderabile che risplenda siccome ardente face sul candeliere. Oh quanto ciò non concilierebbe a lei gli animi de’ fedeli! Che istruzione, che esempio non potrebbe dar ella all’universo intero! E solamente allora la debolezza de’ suoi ministri sostenuta dal giudizio pubblico si terrebbe lontana dal cedere all’umana tentazione. Perocchè l’uomo quando non può peccare di nascosto, non pecca od almeno non pecca a lungo. La quale felice necessità di dar conto di sè al pubblico de’ fedeli anzi alla società degli uomini, risveglierebbe le coscienze di molti, sonnacchiose per mancamento di stimoli sufficienti, e farebbe sentire il bisogno che i posti ecclesiastici non fossero occupati se non da valentuomini forniti di una perfetta e patente rettitudine, e d’una vera pietà.
161. Finalmente accennerà una settima ed ultima massima: che «i beni della Chiesa vengano da lei stessa amministrati con ogni vigilanza e diligenza.« — Questo ha sempre raccomandato la Chiesa a quelli a cui ne affidò l’amministrazione, dichiarando quelle sostanze esser di Dio, e de’ poveri, e di avervi un cotal sacrilegio, se per incuria e pigrizia de’ procuratori qualche parte se ne perdesse: ed è egli di tanto maggior momento questa massima, che trascurata, diede maggior appiglio a’ governi di mettervi la mano e far tutto essi, onde la servitù della Chiesa e dei suoi beni si perpetua.
162. Vero è che la Chiesa ora perseguitata, ora oppressa, sempre lottante col poter temporale amico e nemico, e oltracciò sempre intesa a cure troppo più gravi del ben delle anime, non ebbe mai tempo bastevole a ridurre l’amministrazione de’ suoi beni perfetta, a stabilir un sistema economico da tutte parti bene organato e difeso. Che se si considera quanto ha ricevuto la Chiesa ne’ vari secoli della sua vita, e quant’ella ha perduto per difetto di questa vigilante ed industre amministrazione economica; egli è impossibile a dire, che cosa ora serebbe la Chiesa, se i suoi beni temporali fossero stati sempre dai suoi ministri sapientemente amministrati. Ma la forza dello spirito umano è limitata, ed ella non arriva mai a compiere due imprese diverse ad un tempo, sebbene legate fra loro: lo scopo spirituale della Chiesa doveva necessariamete assorbirne tutta, per poco, l’attenzione, e non poteva contemporaneamente esser guari sollecita del buono andamento della parte materiale, fino a tanto che la sua legislazione disciplinare più importante (quella che riguarda direttamente la salute delle anime) non fosse stata prima a pieno stabilita, e che l’esperienza non avesse dimostrato il danno incalcolabile che dal negligere la parte materiale ridondava alla stessa parte spirituale. Or che a principio ciò non fosse possibile, nè pure fosse espediente, ma ne persuade l’esempio di