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ecclesiastiche ad usi fissi fu insopportabile: l’antica massima naufragò nella pratica, e con essa il suo spirito.

154. «Lo spirito di generosità, la facilità in dare; la difficoltà in ricevere» era la quinta massima con cui si riparava la Chiesa dal pericolo delle ricchezze nei secoli anteriori al feudalismo. — Ella teneva altamente scolpita la nobilissima, ed inaudita parola di Cristo: «è meglio il dare che il ricevere (Act, xx, 35.):» questa predicava come una buona novella al mondo schiavo dell’egoismo: questa faceva rilucere in tutti i suoi atti, in tutte le sue operazioni. I Vescovi consideravano siccome un peso molesto i beni temporali e le loro amministrazioni, e lo sopportavano indottivi soltanto dalla carità1: non vi erano ancora leggi che rendessero oltremodo difficile l’alienazione de’ beni ricevuti: si riceveva con gran riserbo, si donava con gran larghezza. S. Ambrogio ricusava le offerte o le eredità, si conosceva poter esse cadere a danno de’ parenti poveri: Non quaerit, scriveva egli, donum Deus de fame parentum, e aggiungeva Misericordia a domestico progredi debet pietatis officio (In. Luc. C. xviii.): il che la Chiesa potea fare allora, quando il suo spirito era libero, non legato da mille vincoli, e specialmente dalla protezione, come la chiamano, dei principi secolari. Perchè un effetto di questa servitù della Chiesa sotto la forza è anche questo appunto, l’esserle impediti tali atti generosi, che sì spesso facevano i suoi Vescovi antichi, e la facevano tanto risplendere. Di Aurelio e di Agostino e dei loro sentimenti in questo argomento ho già toccato In uno de’ sermoni che il gran Padre d’Ippona tenne al popolo, egli ebbe a difendersi contro la voce che correa: Episcopus Augustinus de bonitate sua donat totum, non suscipit (che bella accusa!) onde era che si lagnava, che per questa generosa larghezza del santissimo Vescovo, niuno donasse più alla Chiesa d’Ippona, niuno la facesse erede. Possidio, nella vita che di lui scrisse, racconta, che restituì una possessione ad uno de’ maggiorenti ipponesi, che, avendola già da più anni donata alla Chiesa con regolare istromento, poscia se n’era pentito e l’avea al buon Vescovo ridomandata pel figlio, e gliela restituì rifiutando anche una somma di danaro che aveagli mandata pe’ poveri, non però senza avvertirlo del suo peccaminoso contegno: siccome pure narra, che accortosi Agostino, come fra il Clero inferiore alcuno invidiava al Vescovo, nelle cui mani erano le facoltà della Chiesa2; egli ne tenne a dirittura ragionamento alla plebe di Dio, colla quale que’ Vescovi ogni cosa comunicavano, esponendo «che egli avrebbe amato di vivere delle collette della plebe di Dio, piuttosto che soffrire la cura e il governo di quelle possessioni; e però che egli era pronto di cederle loro, acciocchè tutti i servi e ministri di Dio vivessero a quel modo, in cui si legge nel Testamento antico, gl’inservienti all’altare, aver di esso altare comparticipato. Ma i laici non vollero mai in ciò consentire3

155. S. Giovanni Grisostomo, parlando al suo popolo, adduce altresì la ragione del perchè la Chiesa non continuò a vivere delle collette accidentali de’ fedeli; ma accettò ben anco donazioni di cose stabili. Dice, che il Clero fu necessitato a ciò fare, non per sè, ma pel bisogno di provvedere a’ miseri, diminuito essendosi ne’ fedeli quel fervore della primitiva carità. «A cagione della vostra strettezza di mano, egli disse, ha la Chiesa bisogno di aver quello

  1. «Mi è Iddio testimonio, scrive S. Agostino nella lett. cxxvi, che tutta la procurazione di tutte queste cose ecclesiastiche, di cui si crede che noi abbiamo la signoria, è tollerata non amata da me, per la servitù, che io debbo alla carità de’ fratelli e al timor di Dio: di maniera che se io potessi farne senza, salvo il mio ufficio, lo bramerei».
  2. L’umanità si trova sempre in tutti i tempi difettosa; ma ciò che noi vogliamo distinguere è l’errore parziale ed eccezionale da quello che è passato in consuetudine universale, guastando per poco lo stesso corpo sociale, ed abolendo le massime su cui si regge.
  3. Sed nunquam id laici suscipere voluerunt. Possid. In vita August.